
Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta
Nei giorni scorsi si sono tenuti a Roma gli Stati generali della natalità. La presenza di Papa Francesco, del premier Draghi e di vari ministri, del direttore dell’Istat, di alte personalità del mondo culturale e sociale dovrebbero dare il senso della gravità di un fenomeno, troppo spesso sottovalutato e che vede l’Italia primeggiare in Europa con cifre devastanti: la denatalità. Nel 2020 con 404.104 nuovi nati l’Italia ha toccato il livello più basso di natalità mai registrato dal 1870.
Per questo papa Francesco parla di “un inverno demografico freddo e buio” e Draghi a dichiarare: “Ci troviamo peggiori di ciò che pensavamo… Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta. è un’Italia destinata lentamente ad invecchiare e scomparire”.
E’ utile precisare che non è tutta colpa del covid-19 e delle difficoltà reali che vi sono collegate. Il 1946 non era certo un anno felice, si usciva da una guerra ed il Paese era in macerie. Eppure i nati in quell’anno furono 1.044.000. Si viaggiò con numeri altalenanti, ma sempre al di sopra delle 900.000 unità fino al 1974. Quell’anno furono 886.000.

Papa Francesco agli Stati Generali della Natalità.
Sarà un caso ma il 1974 è l’anno del referendum sull’aborto e delle “guerre” che lo accompagnarono e fa da spartiacque: inizia il declino. Il punto più basso si raggiunge nel 1995 con 526.000 nati. C’è una leggera ripresa fino al 2010, 577.000 nati, poi un calo demografico sempre più profondo fino ai dati di oggi: 404.104. Se si pensa che nel 2020 sono state cancellate dall’anagrafe 746.146 persone ci si rende conto della gravità del saldo negativo tra nati e morti: è come se fosse stata cancellata una città come Firenze.
La scossa al sistema tradizionale era già iniziata nel 1969, ma la stagione dei diritti, sacrosanti, individuali ha preso forza soprattutto nel 1974. Non si vuol dire che non siano importanti, ma si è creato un clima culturale nel quale sottolineando l’importanza dell’individuo, dei suoi diritti, è andata via via sfumando il senso del bene comune, l’importanza della necessità di vivere in una comunità, in una società, in uno Stato. Così si è guardato al singolo cittadino, al singolo lavoratore, al singolo elettore.
Tra le tante cose si sono di fatto sviliti il matrimonio e la famiglia rappresentati come vincoli e limiti con i figli visti come un peso e una fatica, non come una opportunità e un dono. Il Paese sta invecchiando velocemente.
L’Istat ricorda che, malgrado la riduzione della natalità, il numero di figli per donna rimane invariato rispetto all’anno precedente, 1,29. è anch’esso il più basso in Europa, ma significa una cosa: il calo demografico dipende dal fatto che è diminuito di 180.000 unità il numero delle donne in età fertile. E già questo è un dato che dovrebbe far pensare.
L’aspettativa per gli uomini è di 81 anni, quella delle donne di 83, tra i più alti in Europa e nel mondo. Dovrebbe essere una buona notizia, invece ci dice che siamo un Paese che sta velocemente invecchiando e che tra poco gli ultrasessantacinquenni supereranno le persone in età lavorativa. Questo naturalmente comporta una serie di problematiche da non sottovalutare a cominciare dal welfare, dalle pensioni, dall’assistenza sanitaria, dalla scuola, da tutti i servizi che lo Stato mette a disposizione.
Al centro di tutto, anche se il mondo politico non se ne è accorto, sta la famiglia, senza dimenticare le esigenze della donna che anche in questa situazione pandemica ha pagato il prezzo più alto. E’ importante capire che il punto nevralgico della ripresa sarà sì il recovery plan, ma senza una adeguata attenzione alla famiglia e alle sue esigenze, l’Italia non ha futuro.
Siamo già in grave ritardo, ma tentennare ancora diventa estremamente pericoloso. La denatalità è il segno più evidente di un Paese che ha perso la speranza. Su questo papa Francesco fa leva quando dice che bisogna continuare a sognare. Se si vuole avere un futuro, bisogna avere il coraggio di rischiare.
Si era a Mostar, nel 1995, in piena guerra bosniaca, la città era piena di macerie. Per le strade non si vedevano uomini, erano a combattere. C’erano solo donne e molte di esse incinta. Ad una di esse, nel centro Caritas, si chiede come mai, in una situazione così triste, potessero pensare di mettere al mondo dei figli. La risposta fu raggelante per chi era abituato ad ogni comodità e sicurezza (almeno allora): “Questi sono la nostra speranza”. Come a dire che prima o poi la guerra finirà, ma che ce ne faremo della pace se non ci saranno cittadini per ricostruire il Paese?
Prima o poi il covid verrà sconfitto, l’economia ricomincerà a marciare, ma dovrà riprendere vigore anche la speranza. Ma non si costruisce sul nulla. Oggi sembra che si cominci a capire la gravità del problema della natalità. Negli Stati generali della natalità si sono tracciate delle linee. Draghi ha annunciato a breve l’assegno unico per ogni figlio, ma bisognerà capire finalmente che un figlio più che un costo privato a carico dei genitori è un valore collettivo sul quale tutta la comunità ha interesse a investire.
Giovanni Barbieri