Del dibattito sulla proposta del segretario del PD di portare dal 4 al 20% l’imposta di successione per le eredità superiori a 5 milioni di euro – mantenendo inalterata l’aliquota del 4% per le eredità tra 1 e 5 milioni e l’esenzione per quelle sotto il milione – colpisce la decisa reazione avversa dei membri delle classi più affluenti del Paese.
Eppure la proposta di Letta non è esattamente un esproprio: in Germania su patrimoni ereditati di analoga misura si paga il 30%, in Gran Bretagna il 40 e in Francia il 45; non è nemmeno una proposta tesa a ridurre le disuguaglianze: l’efficacia distributiva delle imposte successorie è sempre stata molto ridotta, come dimostra il fatto che in tutta Europa le famiglie benestanti rimangono tali per generazioni, spesso per secoli. Nelle intenzioni dell’ex Presidente del Consiglio, i 2,8 miliardi di euro annui che si ricaverebbero incidendo sull’1% degli italiani andrebbero a finanziarie, ogni anno, una “dote” di 10 mila euro ciascuno per la metà dei diciottenni italiani, circa 280 mila giovani, sulla base dell’Isee, spendibili per formazione e istruzione, lavoro e piccola imprenditoria, casa e alloggio.
Risorse dunque destinate ad aiutare le giovani generazioni, che oltre a vivere faccia a faccia con un precariato endemico, che con la pandemia hanno pagato un prezzo altissimo in termini di crescita personale e formazione, che erediteranno un debito pubblico enorme e dovranno affrontare le sfide di un mondo radicalmente modificato dalla rivoluzione digitale e dai cambiamenti climatici, ma che hanno incontrato, oltre al rassegnato silenzio dei potenziali beneficiari, un’ostilità senza precedenti.
Per mezzo di giornalisti, economisti, intellettuali ospiti a libro paga dei grandi gruppi editoriali, forze politiche della destra – ma pure di esponenti dello stesso partito di Letta – la proposta del segretario democratico è stata respinta in modo quasi isterico. In un momento di crisi profonda, in cui le conseguenze sociali della pandemia non sono state un inciampo passeggero ma il frutto di precise politiche economiche, l’Italia fa quindi i conti con una borghesia che si dice liberale e meritocratica ma che difende il diritto di vivere in modo opulento, senza aver fatto alcun sacrificio, del nipote ozioso di un nonno molto capace.
Siamo di fronte ad un esempio concreto di “miopi visioni di parte anteposte al bene comune” che “peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti”: sono le parole pronunciate solennemente al Parlamento un mese fa dallo stesso Presidente del Consiglio che in meno di un’ora ha fermato la proposta di Letta.
Per Draghi e il suo governo di unità nazionale il tempo delle scelte di campo non si è fatto attendere.
Davide Tondani