La torrenta: una storia di “acque in risonanza” nella valle della Lima

Il titolo del libro (La torrenta. Una storia di acque in risonanza, Mulazzo, Tarka editore, 2020 può stupire, infatti è un àpax legòmenon come dicevano i greci, figura retorica che indica una parola nuova e usata una sola volta.
L’autore Federico Pagliai racconta un suo speciale viaggiare lungo la Lima, “torrenta” perché è “femmina”, dà desinenza femminile al sostantivo anziché all’articolo per cui noi diciamo la Magra, la Dora. La Lima è una creatura, un’amata donna del cuore per Federico Pagliai, nato nel 1966 e cresciuto a pochi metri dal torrente che ha la sorgente nei boschi della montagna pistoiese e si getta nel Serchio a Bagni di Lucca; la sua vita odora di boschi e di crinali perché fa la guida ambientale escursionistica, è volontario del Soccorso Alpino e un fungaio strepitoso. Ha scritto molti libri su temi montanari.
Il libro narra in prima persona un viaggio lungo la Lima, un piccolo nastro di acque che catturano l’azzurro del cielo in cui l’autore si identifica, entra in comunione con la Natura, vive emozioni, scopre con stupore il perenne cambiare del fiume, ascolta i suoni delle acque come un respiro umano. Ha voglia di “curiosare, stupirsi e meravigliarsi”, vive ogni nuova giornata come una nuova creazione: conoscere intimamente il suo fiume è percepire il suo continuo modificarsi.
La “torrenta” Lima racconta storie di vita vissuta lungo le sue sponde, le piene alluvionali, le frane, le stragi della guerra, i dispersi, suicidi, vicende di uomini e di animali intrecciate con storie di pietre e di alberi, vive come un insulto al suo fluire la costruzione di dighe e di “certi budelli di cemento acceleratori di disastri”. Disegni di mano dell’autore accompagnano a segmenti il flusso fluviale.
Federico Pagliai scrive nelle belle forme della prosa d’arte e comunica un raffinato sentimento “panico”, un sentirsi parte del “tutto” (dall’aggettivo neutro greco “pan”= tutto), una sensibilità preziosa da sollecitare in noi per rimediare alla frattura che l’uomo contemporaneo ha provocato mettendosi contro la Natura, esaurendone le risorse, sprecando e sporcando l’acqua di cui al 70% è costituito anche il nostro corpo. Se mancherà l’acqua non ci sarà più nessuna forma di vita e il nostro pianeta diventerà un’arida distesa di rocce come Marte o la Luna.
“E, di tanto in tanto, stiamoci dentro alle acque di un fiume. Mettiamo le nostre, di acque, in armonia e risonanza con quelle del mondo”. Il libro si inserisce nel genere letterario che esprime il sentirsi tutt’uno con la vita delle piante, con le forze della Natura, sensibilità propria delle culture orientali; i riferimenti nostri più immediati portano a poesie di Pascoli e D’Annunzio.
Narrare il corso di un fiume come simbolo della vita e come storia ha un esempio nel bellissimo saggio “Danubio” di Claudio Magris, lo scrittore triestino che, come immerso anch’egli nel grande fiume germanico e slavo, fa memoria di tutti gli eventi storici, dei paesaggi e delle persone che interessano l’intero percorso delle acque prima di finire nel grande “bozzo” del mar Nero.

Maria Luisa Simoncelli