La profonda crisi di Pd e M5s

Il varo della nuova compagine governativa, che mette nelle mani di Draghi i ministeri chiave per affrontare l’emergenza Covid e mettere a punto i progetti per il Reconery plan, ha scosso tutto l’apparato dei partiti. L’unica a restare indenne è la Meloni nella sua solitaria opposizione al governo. Una posizione che le permetterà di cavalcare in solitaria il dissenso e il disagio. Alla fine, dunque, il centrodestra si è ritrovato diviso con Lega e FI nel governo e FdI all’opposizione. In altri momenti questo potrebbe essere un problema, ma si sa che così non è nella situazione attuale.
La destra italiana è piuttosto pragmatica e non ha problemi ad allearsi anche con quelli che fino a ieri erano i nemici da combattere. Si è perfino visto Salvini diventare europeista e abbandonare senza molte remore la bandiera di tante battaglie! I dissensi vengono tenuti sotto controllo in forza della “ragion di stato”. D’altra parte, il poter entrare in un governo, dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, è già una vittoria.
C’è chi, invece, esce da questa esperienza con le ossa rotte: M5s e Pd. I Cinquestelle sono in stato confusionale. Dopo l’uscita o l’espulsione di chi non ha votato il governo Draghi, sono alla ricerca di un nuovo assetto, di sapere cosa faranno da grandi e, non trovando un accordo interno, si stanno appellando a Conte, sostenuto da Grillo. Solo che Conte, in prima battuta, ha chiesto carta bianca con l’intenzione di ristrutturare la compagine in un modo che non piacerà a tutti.
Il discorso si fa serio, se non drammatico, per il Pd. Le improvvise dimissioni di Zingaretti da segretario hanno scompaginato tutti i giochi e hanno portato alla luce del sole le lotte interne tra le tante correnti in costante competizione. Le troppe esternazioni dei capicorrente, alla ricerca di visibilità, alla fine hanno “costretto” il segretario alle dimissioni, con parole che non hanno certo descritto un partito in salute.
Ora ognuno dovrà prendersi le sue responsabilità. Si potrebbe partire dallo scioglimento dei vari gruppi: un partito che sta scendendo nei consensi, dopo aver toccato percentuali soddisfacenti nei mesi scorsi, non può permettersi di avere 7 o 8 sottocapi. Questo è il motivo per cui, in 13 anni, si è “mangiato” 9 segretari, senza contare le uscite.
L’attaccamento alle poltrone di troppi ha determinato il distacco dalla gente, e dai problemi reali. Altri hanno occupato gli spazi che avrebbero dovuto essere propri del Pd. Invece di approfittare dell’occasione offerta dall’agenda di Draghi, che ricalca in gran parte le idee portate avanti dal partito – dall’europeismo ai rapporti transatlantici, all’ambiente – i vari esponenti si incarogniscono in una guerriglia che agli occhi della gente è senza senso. Oggi tutti sperano che Zingaretti ci ripensi, visto che non sanno come uscirne.

Giovanni Barbieri