Domenica 14 marzo – IV di Quaresima
(2Cr 36,14-16.19-23; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21)
Avessimo almeno il suo coraggio. Uscire e incidere la notte. E sarà una copertura, paura dei giudizi, paura di scoprirsi bisognoso di cambiare… però Nicodemo ha trasformato quella notte in grembo, fecondo. Avessimo almeno il suo coraggio. Quella forza che nasce quando si uccidono risposte banali a domande complesse, quella forza che rischiamo di spegnere sotto colate di mediocrità, di posizioni di comodo, di abitudini. Se avessimo la forza di lasciarci raggiungere dalla luce senza nasconderci! Dalle luminose parole di Gesù che insistono a parlare di eternità. Che è come aprire una soglia, lacerare con gesto tagliente e preciso, la coperta della notte, il fondo delle nostre paure.
Nicodemo muove i primi passi nel cuore delle tenebre. Non si nasconde. E’ già tantissimo. Nicodemo alla domanda divina “dove sei?” risponde, magari timidamente, magari senza troppo coraggio, ma inizia a rispondere. Balbetta pochi passi nelle tenebre. Perché tanta paura di venire alla luce? Perché questa nostra maledetta tentazione di nasconderci e di fuggire? Perché l’uomo nuovo narrato dal Vangelo è così faticoso da partorire? Forse perché ci sentiamo troppo fragili. Forse perché lasciare entrare la luce, aprire le porte sull’infinito, è rischiare un eccesso di vita. Troppa luce acceca, troppo spazio impaurisce, troppa libertà rischia di schiacciare di responsabilità… Tentazione: chiudersi. in una vita con la pretesa di avere tutto sotto controllo, chiudere porte e finestre per evitare sconvolgimenti, bloccare i nostri cammini con la scusa di un disordine che è solo paralisi e così sfigurare l’umano che è noi.
Il vangelo di oggi è la descrizione della luce che bussa alla finestra. La luce entra e chiede di schierarsi: uscire e prendere il largo o nascondersi dietro una parete? E penso che quell’appello ad una vita fatta di verità e di luce, quell’appello appassionato che sentiamo nel Vangelo di oggi, sia l’ennesima preghiera di un Dio che non sopporta ciò che non cambia, ciò che non si muove, ciò che non attraversa, ciò che non nasce. Luce da luce, volo di angeli, corse e conversioni, Dio come soffio di vento che apre le porte dei cuori, come voce che scende dal cielo, come velo squarciato del tempio…. In Gesù la descrizione del divino e dell’umano si muovono insieme e sono sempre descrizioni di movimento. Un appello, un’uscita, un attraversamento… la fede nel Dio dei Padri declinata dal Vangelo di Gesù è storia di migrazioni dell’anima, metamorfosi delle storie, conversioni dei cuori. Non è più tempo (ma non lo è mai stato!) di una fede che vuole dare ordine alle poche cose della vita. E’ tempo di vento che solleva a cammini magari disordinati però liberi e, soprattutto, vivi.
don Alessandro Deho’