Il primo fu John Fitzgerald Kennedy. Sono stati 46 gli inquilini della Casa Bianca che si sono succedutisi in oltre 230 anni di storia. I rapporti fra Stati Uniti e Santa Sede. Trump, Papa Francesco e l’episcopato americano.
L’incontro del 2013 tra l’allora vice presidente Usa Joe Biden (qui con la sorella, Valerie Biden Owens) e Papa Francesco nella Basilica di San Pietro
Gli ultimi anni dei rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede hanno reso il quadro molto più problematico che nel passato. La Chiesa cattolica negli Stati Uniti, storicamente guidata da un episcopato in maggioranza orientato verso i repubblicani, custodi più affidabili di valori cari alla dottrina cattolica quali il no all’aborto e all’eutanasia, la tutela della famiglia tradizionale, senza dimenticare tuttavia temi sociali sensibili, come l’immigrazione e la povertà, è stata fortemente indebolita dagli scandali legati alla pedofilia.
I dossier con i quali si accusava Francesco di aver coperto i crimini sessuali dell’arcivescovo di Washington, il cardinale McCarrick – per i quali l’ex Nunzio negli USA, Viganò, ha chiesto le dimissioni del Papa – si sono rivelati infondati ma hanno reso evidente uno scenario complesso: il presidente Trump in contrapposizione frontale con il Papa su tutto (ma in particolare per i rapporti diplomatici definiti “immorali” con la Cina e per il suo magistero sull’ecologia e sulle migrazioni) e i principali vescovi americani, fieri sostenitori di Donald Trump: dal cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, che ha inaugurato la convention repubblicana di agosto, al cardinale Leo Burke, in aperta contrapposizione con il Papa sugli aspetti dottrinali e magisteriali del suo pontificato. Il presidente cattolico contribuirà a modificare questa situazione?
Il secondo presidente cattolico della storia degli Usa
John Fitzgerald Kennedy con Papa Paolo VI durante la visita in Vaticano nel 1963
A 58 anni dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, gli Stati Uniti tornano ad avere un presidente cattolico, il secondo di 46 inquilini della Casa Bianca succedutisi in oltre 230 anni di storia.
Vi sono essenzialmente due ragioni che spiegano una così ridotta presenza cattolica alla presidenza federale a Washington, nonostante i fedeli del Papa negli USA siano 76 milioni, circa il 23% della popolazione. In primo luogo, gli Stati Uniti, in origine, hanno rappresentato l’approdo dei perseguitati delle potenze cattoliche europee, elemento che ha influenzato a lungo la storia del paese nordamericano. Secondariamente, la religione di Pietro e Paolo non si addiceva ad un presidente che ha come punto di riferimento, anche se solo spiritualmente, il Vescovo di Roma, cioè il capo di un altro Stato.
Tuttavia, il cattolicesimo negli ultimi 40 anni si è ritagliato spazi sempre più rilevanti nelle relazioni con l’amministrazione americana. L’avvio di questa fase avvenne con Ronald Reagan (presidente dal 1981 al 1989) e papa Giovanni Paolo II: entrambi fortemente avversi al sistema sovietico che di lì a poco sarebbe imploso, Reagan e Giovanni Paolo II agirono in parallelo nell’America Latina, che Washington considerava il proprio “cortile di casa”. Roma censurava la Teologia della liberazione, che dopo il Concilio stava facendo presa sulla chiesa latinoamericana, mentre Washington sosteneva e promuoveva i regimi che reprimevano le istanze popolari che in quella teologia trovavano linfa.
Il rapporto tra la Chiesa di Roma e gli Stati Uniti si consolidò ulteriormente agli inizi del XXI secolo, quando nel partito repubblicano allora al potere, si fece largo la corrente teo-con, conservatori con una significativa impronta religiosa (tra essi anche cattolici come il filosofo Michael Novak), che sostengono il ruolo pubblico della religione come fondamento della convivenza statale e come baluardo a difesa della civiltà occidentale minacciata dall’islamismo radicale. Le reciproche visite di Stato di George Bush Jr. in Vaticano e Benedetto XVI a Washington (la prima volta di un papa alla Casa Bianca), tra aprile e giugno 2008, sono state l’icona di quella stagione.
La contrapposizione tra la parte più conservatrice del clero cattolico statunitense e Francesco non si ricomporrà certo grazie al solo Biden, che comunque ha un programma maggiormente vicino, rispetto a quello di Trump, al pensiero enunciato dal Papa nella Laudato Si’ e nella Fratres Omnes: Biden è fautore del multilateralismo, pone attenzione ai cambiamenti climatici, teorizza una diversa politica migratoria. Un nuovo clima tra Stati Uniti e Santa Sede dipenderà anche da quanto i nuovi vescovi nominati da Francesco riusciranno a promuovere un clima diverso dal passato recente.
Se ne intravedono i primi tentativi nelle parole del nuovo arcivescovo di Washington, Wilton Gregory, creato cardinale lo scorso ottobre, il quale si è espresso pubblicamente contro l’uso strumentale da parte di Trump del pontificato di Giovanni Paolo II e della Bibbia, e nel messaggio del presidente dell’episcopato americano, l’arcivescovo di Los Angeles Josè Gomez, all’indomani dell’elezione di Biden.
Il presule ha auspicato “che i nostri leader si riuniscano in uno spirito di unità nazionale e si dispongano al dialogo e all’impegno per il bene comune” e ha sottolineato che “come cattolici e statunitensi, siamo qui per seguire Gesù Cristo, per testimoniare il suo amore nelle nostre vite e per costruire il suo regno sulla terra. Abbiamo il dovere speciale di essere operatori di pace, di promuovere la fraternità e la fiducia reciproca”.