Fra i diciassette soldati del Regio Esercito che morirono c’era anche Tullio Marafetti della Pieve di Saliceto, Alpino caduto il 26 dicembre combattendo contro i Legionari
Natale di Sangue, ma anche Natale funebre: così Gabriele D’Annunzio definì quei giorni di fine dicembre di cento anni fa che posero fine all’impresa di Fiume per l’intervento di alcuni reparti dell’esercito del Regno d’Italia, finalmente deciso a chiudere una situazione che si era fatta insostenibile. Soprattutto dopo la firma del trattato di Rapallo che il 12 novembre aveva sancito che la città dovesse essere “stato libero”, indipendente sia dall’Italia che dal Regno di Serbia.
Tuttavia D’Annunzio e i suoi “legionari”, che avevano occupato Fiume nell’autunno 1919, non avevano accettato di abbandonare il campo, ritenendo il trattato internazionale un vero e proprio tradimento. Così, dopo oltre un mese di inutili trattative, il Governo del Regno aveva deciso l’invio di un contingente militare: a Fiume la Repubblica del Carnaro doveva finire, il territorio sgomberato e gli italiani che lo occupavano rimpatriati. Le pressioni internazionali si erano fatte insistenti e la situazione politica imbarazzante e non più sostenibile.
Purtroppo l’operazione militare richiese un alto prezzo in vite umane; D’Annunzio, infatti, scelse la via dello scontro, di una sorta di plateale “martirio”, schierò le truppe e rifiutò di arrendersi e liberare il campo; dopo i primi scontri a fuoco, con la solita retorica, scrisse: “Il delitto è consumato. Le truppe regie hanno dato a Fiume il Natale funebre. Nella notte trasportiamo sulle barelle i nostri feriti e i nostri morti. Resistiamo disperatamente, uno contro dieci, uno contro venti. Nessuno passerà, se non sopra i nostri corpi. Combatteremo tutta la notte”.
In quelle ore del 26 dicembre 1920, a Fiume era purtroppo già caduto in combattimento il pontremolese Tullio Marafetti, poco più che ventenne. Era nato infatti il 30 giugno 1900 alla Pieve di Saliceto, comunità che lo ricorda nella lapide ai caduti murata alla base del campanile. Tra i reparti della 45.ma divisione inviati al di là delle Alpi Giulie, c’era anche il 5° reggimento Alpini nel quale era inquadrato; lui che poco più di due anni prima, nonostante all’epoca non avesse ancora compiuto i 18 anni, aveva fatto in tempo a conoscere il fronte della Prima Guerra Mondiale.
Era il marzo 1918 quando aveva ricevuto la chiamata alle armi e il 18 aprile era già in zona di guerra con il battaglione “Morbegno”. A Fiume arrivò però inquadrato tra i mitraglieri del battaglione “Edolo”; due compagnie di Alpini del “Morbegno”, infatti, un anno prima si erano unite ai Legionari e, disertando, erano rimaste al fianco di D’Annunzio che, nei cinque giorni che precedettero e seguirono il Natale 1920, le fece schierare nella “difesa” di Fiume e della Reggenza Italiana del Carnaro.
L’attacco dei reparti del Regio Esercito iniziò la vigilia di Natale; sospeso dopo alcune ore, venne ripreso la mattina del 26 dicembre, non appena le prime luci dell’alba cominciarono a rischiarare il campo di battaglia. Tullio Marafetti era in prima linea, sulle alture nella zona del cimitero di Fiume: qui si registrarono gli scontri più duri: alle 7 era già morto per le gravi ferite riportate a seguito dello scoppio della bomba a mano che i rivoltosi gli avevano lanciato contro.
Alla Pieve di Saliceto non tornò neppure da morto: le sue spoglie, infatti, furono sepolte in loco e, in seguito, inumate nel sacrario militare italiano nel Tempio Votivo di Cosala (Fiume) nel grande cimitero della città oggi croata.
Dopo la sua morte la battaglia continuò per tutto il 26 dicembre e per parte del 27 quando le operazioni militari si conclusero: anche grazie ai cannoneggiamenti dal mare da parte delle unità navali italiane i Legionari finalmente si arresero; con le dimissioni di D’Annunzio da capo del Governo firmate il 28 dicembre le ostilità cessarono del tutto. L’impresa di Fiume era finita, il bilancio in vite umane di quei cinque giorni di battaglia fu pesante: persero la vita 17 tra i soldati del Regio Esercito, 22 tra i legionari, 5 tra i civili; e furono quasi 200 i feriti.
Paolo Bissoli