
Tra le numerose parole che potrebbero caratterizzare questo periodo riparare potrebbe rivestire una qualche attualità e sollecitare azioni e riflessioni. Che cosa dobbiamo riparare e perchè? Questo tempo di coronavirus ci costringe a rimanere più a lungo in casa, ad accorciare lo sguardo sulla nostra nuova quotidianità e magari a scoprire o a riscoprire ciò che ci è sempre stato davanti agli occhi ma che ora sembra assumere i caratteri di novità: un oggetto, un libro, un quadro, un vestito ma anche i rapporti familiari. Tutto un mondo che ci si rivela giorno per giorno. È l’occasione anche per riprendere in mano ciò che avevamo accantonato in attesa di essere riparato: una lampada, un piccolo elettrodomestico, un libro che sta perdendo pagine, una sedia traballante. D’altronde la nostra epoca del consumismo e della tecnologia esclude l’uomo dalla riparazione. Quante volte ci siamo sentiti dire: non è riparabile, non si trovano più i pezzi di ricambio, non conviene ripararlo meglio comprarne uno nuovo. Di questo spreco e dell’accumulo dei materiali scartati si è occupata anche la Commissione Europea che, nell’ottobre 2019, con la normativa Ecodesign, ha inteso porre rimedio a questa fine ineluttabile dei nostri oggetti. Dallo scorso marzo diversi elettrodomestici e non solo dovranno essere costruiti in modo da essere facilmente riparati, i loro componenti riciclabili, mentre il loro funzionamento dovrà essere all’insegna dell’efficienza. È insomma il nuovo ‘diritto alla riparazione’, che prevede anche attività formative. Si parla infatti di vere e proprie ‘campagne di riparazione’ e informazioni chiare su quanto acquistato in merito a riparabilità e durata.
Anche Ettore Guatelli, fondatore del Museo della civiltà contadina di Ozzano Taro, scomparso nel 2000, avrebbe visto di buon occhio questo… diritto alla riparazione. Il suo insegnamento e le sue intuizioni rimangono quanto mai vivi e attuali. Tante volte si è prodigato nel riparare oggetti, rifunzionalizzarli, pur di non gettare via nulla e richiamando l’intelligenza, l’intuito, la manualità dei contadini che non sprecavano nulla ma tutto adattavano a nuovi utilizzi. C’è però una riparazione che facciamo finta di non vedere oppure rimandiamo sempre a tempi migliori (quali?) e riguarda il nostro rapporto con la natura.
Non è più procastinabile riparare ai torti che le abbiamo fatto, invertire una tendenza negativa, prendere coscienza che siamo parte di questo mondo e non gli unici proprietari e dominatori assoluti. La severa e tremenda lezione impartitaci dal coronavirus è, secondo molti esperti, l’esito di un comportamento sconsiderato dell’uomo nei confronti della natura. Se uscissimo da questa buia stagione di sofferenza e morte con una nuova cassetta degli attrezzi per riparare i danni fatti e per mettere a punto comportamenti più virtuosi nei confronti della natura, nei confronti delle persone, nei confronti delle cose che abbiamo in dotazione, potremmo ancora con speranza definirci ‘uomini’. In fondo riparare ha in qualche modo a che fare con ripararsi.
Fabrizio Rosi