
Se ufficializzati, i risultati elettorali fanno tornare un democratico alla Casa Bianca
Nel momento in cui scriviamo, a Joe Biden vengono attribuiti 290 grandi elettori, con 75.669.720 voti (50,7%), a Donald Trump 214 con 71.075.087 voti (47,6%). Ci sono anche altri contendenti, ma ad essi sono andate poche briciole di voti. Potranno esserci aggiustamenti ma non di rilievo, fatte salvi eventuali sorprese derivanti dalla sindrome da ricorso dell’ex presidente. In tal modo, l’America, il Paese con le tecnologie più avanzate, dopo giorni dalla chiusura delle urne non è ancora in grado di dichiarare ufficialmente il vincitore e purtroppo l’ufficialità tarderà a venire, se Trump non si farà convincere a desistere dai suoi propositi.
È consuetudine, infatti, che il presidente uscente inviti alla Casa Bianca il vincitore e riconosca la sua vittoria. Comunque vada, non sarà una transizione tranquilla e non sarà certamente utile ad una ricomposizione di un Paese lacerato da profonde divisioni, drammaticamente accentuate sotto la presidenza Trump. I timori di tumulti non sono ancora passati anche perché negli Stati Uniti circolano troppe armi: negli ultimi mesi se ne sono vendute 17 milioni di vario tipo e 5 milioni di persone le hanno acquistate per la prima volta.
Da parte sua, il tandem vincitore, Joe Biden e Kamala Harris, lancia messaggi totalmente diversi. Interessante sottolineare la loro storia. Biden, cattolico (il secondo presidente dopo Kennedy), è di origini irlandesi, la moglie ha ascendenze italiane; la Harris ha madre indiana, padre giamaicano e marito ebreo. È il classico miscuglio di etnie e culture che ha contribuito a rendere grandi gli Stati Uniti.
È il segno dell’inclusione, dell’accoglienza, di un Paese che può offrire a tutti le più grandi opportunità, come spiega la Harris, prima donna, di colore, che conquista il ruolo di vice presidente. Il compito che attende Joe Biden è enorme. Il primo scoglio sarà quello di cercare di “guarire” il Paese dai malanni del populismo e del sovranismo di questi anni. “Non dimentico mai, ha detto Biden nel suo discorso inaugurale, che i conteggi non sono solo numeri. Rappresentano voti ed elettori, uomini e donne che hanno il diritto fondamentale di farsi ascoltare” e per questo cercherà di essere il presidente di tutti gli americani.
Sono vari i problemi impellenti lasciati dalla gestione Trump: dalla sfiducia nelle istituzioni e nella libera informazione, allo smantellamento del sistema assistenziale di Obama, alla gestione catastrofica del Covid, all’irrisione sistematica della scienza, alla campagna d’odio contro i democratici – accusati di essere “comunisti”, di “voler espropriare le case dei bianchi”, di tagliare i fondi alla polizia – all’ostilità nei confronti dei neri in rivolta per le uccisioni di George Floyd e Walter Wallace.
Non sarà facile per Biden e la Harris riportare serenità, ma è assolutamente necessario. Altrettanto gravi le “macerie” sul piano internazionale. Ci sono stati il ritorno alla freddezza nei rapporti con la Russia, la fuga dalle relazioni atlantiche, il disinteresse nei confronti della crisi del Medio Oriente, la delegittimazione del multilateralismo e degli enti sovranazionali, fino alla sconfessione degli accordi di Parigi sul clima. Biden è già al lavoro per costituire un gruppo di scienziati che affrontino con urgenza la crisi del coronavirus.
Ma all’orizzonte c’è anche un programma nutrito per estendere la riforma di Obama sulla copertura sanitaria, per incidere sul clima con piani per l’ambiente, per aumentare la spesa per istruzione, sanità, ricerca, infrastrutture.
Giovanni Barbieri