Quella violenza mortale sugli innocenti

A teatro per purificare le passioni. Il mito di Medea

29PlatoneAtti estremi di violenza sulle donne sono quasi cronaca di ogni giorno, il vocabolario si è dovuto arricchire di un brutto neologismo: qualche marito padrone arriva a colpire la donna uccidendo gli innocenti figli avuti da lei: è la più perversa mostruosità, si direbbe impossibile. Invece ancora una volta un padre lo ha fatto il 27 giugno a Gessate dopo una giornata passata in montagna coi suoi due gemelli maschio e femmina di dodici anni: l’orco aveva già premeditato tutto dicono le prime indagini.
Il nostro settimanale non registra la cronaca nera, ma questa volta non si può evitare una riflessione e un sussulto di ribellione, non sono fatti da far scivolare presto nell’oblio con qualche parola di commiserazione.
La nostra società è malata, non è più capace di gridare turbamento e protesta che scuota la coscienza delle singole persone e il sentire comune. Non è più educata a purificare le proprie passioni, la grande pratica pedagogica che gli antichi hanno inciso dentro di sé attraverso l’arte e particolarmente col teatro.
Non c’era città senza teatro perchè lì i cittadini anche analfabeti capivano assistendo alle rappresentazioni dei grandi tragici gli effetti perversi a cui porta fare il male e si liberavano da sentimenti di vendetta e di odio personale. Il grande Aristotele dà poi risposta filosofica al valore e al fine dell’arte: essa imitando la vita, penetrando il senso profondo della realtà educa a vivere e fa catarsi delle inclinazioni e passioni nefaste e rasserena le nostre coscienze turbate.
L’arte coglie le connessioni ideali dei fatti descrivendo le cose “non come sono realmente accadute, ma quali possono in date condizioni accadere”. I grandi tragediografi hanno inventato interi cicli di favole (miti) perseguendo questo obiettivo.
Euripide dà vita al personaggio di Medea che aiuta Giasone ad impadronirsi del vello d’oro, si innamora, ha figli, ma quando l’argonauta greco la ripudia per convenienza di potere politico, Medea per “punirlo” uccide i figli, vive il tormento feroce di madre in conflitto con la violenza della gelosia. Nel 2012 la grande Mariangela Melato ha messo in scena l’azione e l’annientamento di Medea: indimenticabile la recitazione al teatro Quartieri di Bagnone, in un palcoscenico nudo pieno solo di ombre cupe come lei, in lungo abito rosso scarlatto con forte richiamo simbolico del colore al binomio amore-morte, dava voce a una creatura che soffre combattuta tra razionalità e ira sempre causa di alte sventure. Sol piena / trarrò di mali e di dolor la vita. Sempre il male rappresentato doveva essere espiato nelle distruttive sue conseguenze, la società non ne avrebbe accettato l’impunità neppure nella finzione scenica: così nei miti di Oreste, Edipo, del ciclo degli Atridi, così nelle tragedie di Shakespeare.
Nel nostro tempo nel film “C’era una volta in America” il regista Sergio Leone col commento musicale del sublime Ennio Morricone fa eccezione all’indifferenza di fronte alle tante violenze presenti nella nostra società e ci dice che il delitto e i soldi non pagano e i boss mafiosi li fa finire saltati in aria o deturpati in un sorriso demenziale nello stordimento dell’oppio. I personaggi dell’arte sono inventati, le violenze della cronaca invece sono su carne vera, questo fa una differenza sostanziale come quella tra il travaglio interiore e i rimorsi espressi nell’invenzione poetica e quell’assassino concreto dei propri figli che ha aggiunto la vigliaccheria di sottrarsi a ogni conseguenza togliendosi di mezzo.

(m.l.s.)