Domenica 8 marzo, II di Quaresima
(Gen 12,1-4; 2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9)
“E fu trasfigurato davanti a loro”, come se fosse la cosa più naturale. Come se bastassero un pugno di amici, la pazienza di lasciarsi il mondo a distanza, un po’ di silenzio e un monte. Una geografia affettiva e biblica molto semplice, un respiro tra gli affanni del vivere per lasciar semplicemente che la vita sia quello che è chiamata a essere: luce. Un prendere le distanze per lasciare spazio alla vita di manifestarsi, come a screpolare la crosta dell’apparenza per lasciar filtrare una luce che da dentro preme, geme, chiede di essere partorita. E fu trasfigurato davanti a loro. Come se fosse la cosa più semplice, come se la vita non chiedesse altro che raccontarsi in una luce, che ritrovarsi, chiamata alla luce.
Mi colpisce sempre questa semplicità della trasfigurazione, mi sembra il massimo elogio del gesto poetico, mi ricorda la toccante esperienza dell’Arte Povera: artisti che ci hanno insegnato a lasciarci illuminare dal mistero luminoso delle cose, uomini che hanno chiesto al nostro sguardo di forzare le ipocrite resistenze per poter finalmente vedere la Bellezza luminosa in un sacco di iuta, in una cucitura, in un sasso, nella terra, persino nel materiale recuperato da una discarica e così facendo hanno incluso nell’idea di bellezza anche tutto ciò che è imperfetto, faticoso, ferito, scartato.
Mi colpisce sempre questa semplicità della trasfigurazione perché non è altro che un passaggio. E il Vangelo lo dice bene. Pietro vuole fermare tutto, prendere casa in quella evidenza di luce ma Gesù lo impedisce. La trasfigurazione, per essere compresa deve essere inclusiva, deve raccogliere tutto, deve lasciar cantare la verità profonda delle cose, di tutte le cose. Deve lasciar filtrare la luminosa gioia degli innamorati ma anche imparare a riconoscere vita nell’ultimo respiro dei morenti. In ogni cosa. La trasfigurazione è arte povera, deve includere la croce e la morte. Trasfigurazione è lo sguardo che impara a riconoscere luce dentro ogni piega di vita, dentro le ore di ogni giorno, nel cuore di ogni istante. C’era luce a Betlemme, se sapevi ascoltare il canto della paglia. C’era luce nelle Parole del Maestro, nel suo sguardo, persino nelle controversie contro i nemici. C’era luce, tanta, a Betania. C’era luce nel pianto per Lazzaro. C’era luce negli occhi risorti della donna perdonata. C’era luce tra le pieghe delle beatitudini. Ci sarà luce sul Calvario. Ma serviranno occhi trasfigurati per lasciarla cantare.
Salire sul monte della Trasfigurazione è un compito richiesto alla nostra vita, quotidianamente, forse è la vera differenza evangelica. Un gesto poetico e continuo, quotidiano. Trasfigurare il nostro sguardo imparando a lasciarsi raggiungere dalla luce calda che abita la vita. Saper ascoltare la voce intima delle cose. Saper ascoltare la bellezza spesso nascosta sotto cumuli di sconfitte, di sbagli, di banalità. Saper guardare ogni persona con gli occhi di chi sa bene che nel cuore di ognuno c’è una luce che chiede di venire alla luce, c’è un sentiero possibile per la trasfigurazione personale, per il proprio cammino di cambiamento.
don Alessandro Deho’