Quando era al governo la maggioranza giallo-verde, fondata su un “contratto” in cui le istanze programmatiche del M5S e quelle della Lega erano state giustapposte senza una sintesi, era molto problematico individuare con precisione quale fosse la politica dell’esecutivo in quanto tale. Ciascun partito portava avanti le proprie proposte e l’altro, magari con qualche correttivo, le appoggiava in Parlamento, talvolta senza condividerle nel merito.
L’importante era poter piantare le proprie bandierine di fronte ai rispettivi elettorati. Così nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri in cui furono varati il reddito di cittadinanza e quota 100, vale a dire i principali cavalli di battaglia elettorali del M5S e della Lega, si videro Conte e Di Maio che mostravano un cartello con entrambe le misure, mentre in quello esibito da Salvini compariva soltanto quota 100.
La politica delle bandierine si sta ripresentando anche con il governo in carica. In modo meno plateale, ma all’interno di un quadro reso ancor più complicato dal carattere composito della coalizione. Aumentano i partiti e aumenta il numero di bandierine da piantare; in tal modo su ogni dossier viene messa alla prova la capacità di mediazione del premier Conte. Tutto viene rimesso di continuo in discussione e il governo non riesce a imprimere una rotta chiara alla sua azione. Si naviga a vista, di scoglio in scoglio.
È vero che l’esecutivo è nato in una situazione di emergenza e non ha ancora compiuto i sei mesi di vita ma se è reale l’ambizione spesso dichiarata di durare nel tempo, la sua attività dev’essere quanto prima riempita di contenuti. Non ci si può limitare a rincorrere i problemi.
Dietro la politica delle bandierine, tuttavia, c’è anche un equivoco di fondo sul rapporto tra elettori e partiti che rischia di avvelenare la prassi democratica. L’enfasi posta sulle promesse da mantenere, a prescindere dal fatto che tali promesse siano realistiche e soprattutto corrispondano all’interesse generale del Paese, ha finito per ingenerare una sorta di “voto di scambio” collettivo.
Non è questa la visione della nostra Costituzione, secondo cui “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49). La rappresentanza di interessi settoriali e di singole istanze tematiche è ovviamente legittima, ma c’è una “politica nazionale” che li supera e a cui tutti devono “concorrere”.
Non a caso, la Costituzione afferma anche che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art.67). Rappresenta la Nazione, non un partito e neanche gli elettori di quel partito. La Bandiera, non le bandierine.