Domenica 1 marzo, I di Quaresima
(Gen 2,7-9; 3,1-7; Rm 5,12-19; Mt 4,1-11)
“Non morirete affatto!” sibila il serpente nel cuore del paradiso, e l’uomo non comprende, e si lascia sedurre.
“Non morirete affatto” e la morte diventa l’unico nemico contro cui battersi. “Non morirete affatto” e la nudità diventa vergogna perché manifesta i limiti, la vulnerabilità, l’imperfezione, non resta che coprirsi, proteggersi, nascondere il corpo che invecchia, che soffre, che trema, che piange, che muore. Nascondere un corpo che fa improvvisamente paura perché riconosciuto mortale.
“Non morirete affatto” e da quel giorno la morte è vista come il grande fallimento e ogni fallimento è visto come anticipo di morte. E allora, accecati e sedotti, ecco l’uomo e la donna incolpare Dio per il serpente e incolparsi vicendevolmente per il tradimento: bastava ammettere la colpa. Ma sarebbe stato ammettere il fallimento, fare spazio alla morte, alla morte della mia innocenza, della mia presunta perfezione. Dalle pagine di Genesi quel sibilo diabolico non smette di tentare la nostra umanità. Come se non morire fosse la soluzione al desiderio di vita che ci portiamo dentro, come se non morire fosse la strada da percorrere per trovare quella felicità che tanto cerchiamo. E anche il Vangelo non è altro che la risposta di Gesù alla grande tentazione: “non morire”.
Tentazione declinata all’infinito nel possedere, nella religione, nel potere. Risposte seducenti alla stessa paura di morire. Gesù no, Gesù la morte la accarezza da subito, compagna di viaggio terribile e inevitabile fin dai tempi di Betlemme. La morte è sua ombra, quella proiettata dai suoi avversari sulle pareti del Tempio di Gerusalemme, quella che si mangerà Giuda nel giorno del tradimento. Una morte fuggita ma anche affrontata quando si porta via Lazzaro, una morte scacciata quando le lacrime erano quelle di una madre vedova a Nain, una morte accolta, abitata, alla fine, quando a morire sarà Lui.
Una morte comunque mai negata. Il Vangelo è tutto sotto il segno del cammino fianco a fianco con la morte, per rispondere al serpente, che l’uomo non è vero che non morirà mai perché sta già morendo, istante dopo istante. Gesù però davanti alla morte non si copre, muore nudo, esposto, senza nascondersi. Nessuna vergogna neppure morendo sul legno infame della croce, se ami ti spogli e ti doni. La danza macabra del Calvario sarà anche danza d’amore: sangue e passione, cuori trafitti e lacrime, respiri e abbandoni, la grammatica dell’amore è la stessa della morte.
“Non morirete affatto” sibila il serpente, “state già morendo” risponde il Maestro. “Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto morire in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. L’uomo nasce quando riconosce e la morte come possibilità, come continua possibilità di amare. Stiamo morendo d’amore per qualcuno? Sia questa l’unica domanda ad attraversare il deserto della nostra Quaresima.
don Alessandro Deho’