Suicidio assistito: la grave mancanza del Parlamento

37editorialeSecondo numerosi analisti lo sviluppo di fenomeni pericolosi per la democrazia come il populismo prende le mosse da una diffusa percezione dell’inutilità della politica. Se la politica non serve a niente, allora è facile pensare che se ne possa fare a meno.
La stessa democrazia rappresentativa finisce per apparire un rito vuoto, il Parlamento una sovrastruttura che esiste solo per garantire uno scranno agli eletti. Non è così, ce lo ha insegnato a caro prezzo la storia e ce lo dimostra anche oggi la capacità di reazione che i Parlamenti, non solo in Italia, hanno messo in campo per arginare derive politicamente rischiose.
Ma questa consapevolezza rende ancora più amara la constatazione che, nella delicatissima questione italiana del suicidio assistito, la politica abbia rinunciato a svolgere la propria funzione, il Parlamento abbia abdicato al proprio ruolo di sede in cui i rappresentanti dei cittadini legiferano per il bene comune. Una mancata assunzione di responsabilità sconcertante, visto che la Corte costituzionale aveva rinviato di quasi un anno la sentenza sulla normativa attuale per lasciare il tempo alle Camere di intervenire sulla materia a livello legislativo.
Questo intervento non c’è stato, deputati e senatori – e con loro i partiti – hanno preferito non esporsi, è come se si fossero nascosti dietro i giudici della Consulta. Il gioco degli opportunismi elettorali è stato paralizzante. Ma forse alla radice di questa impasse c’è qualcosa di più profondo, una sorta di bipolarismo etico che impedisce di considerare il valore della persona umana – e quindi la sua tutela – nella sua unitarietà sostanziale. Come se fosse possibile contrapporre l’umanità dolente in un letto d’ospedale a quella in balia delle onde del Mediterraneo.
Adesso tornare indietro non è possibile e il Parlamento, pur quasi fuori tempo massimo, deve dimostrare che è possibile e doveroso legiferare per valorizzare al massimo, anche nei confini tracciati dalla Corte costituzionale, tutto ciò che va nella direzione della tutela della vita umana, a cominciare dal riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Questo “indispensabile intervento del legislatore” (così lo ha definito la Consulta) è di importanza decisiva per garantire una disciplina uniforme ed evitare interpretazioni estensive dei principi enunciati dai giudici costituzionali. Ma deputati e senatori sono chiamati a un sussulto di responsabilità anche per mandare un segnale al Paese, a fronte del rischio di una spinta negativa verso il tanto peggio, tanto meglio. Una legge per ricordare agli italiani che i “doveri inderogabili di solidarietà” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione non sono sospesi e che la tutela della vita umana, di ogni vita umana, non è né di destra né di sinistra ma è un bene assoluto per tutti.

(S.D.M.)