
Confrontarsi con un libro di 830 pagine non è mai semplice; quando poi questo si presenta quale frutto di un lungo e impegnativo lavoro di ricerca, una vera e propria finestra sul Novecento, un periodo storico tra i più complessi della nostra storia contemporanea l’impresa rischia di diventare titanica. Invece “M. Il figlio del secolo” (Bompiani, 24 euro) è una piacevole sorpresa. Nobilitato dalla fascetta di vincitore del 73° premio Strega il libro di Antonio Scurati si legge, se non proprio d’un fiato, con bramosia di affrontare un nuovo capitolo appena concluso il precedente.
Non è un romanzo in senso stretto e certo non è saggio storico; è piuttosto un lungo reportage, il film di anni che hanno impresso al corso della storia un indirizzo imprevedibile e dalle conseguenze terribili. Un “film” nel quale emergono protagonisti e comprimari, molti dei quali colpevoli di non aver fatto nulla per fermare il corso della storia quando ancora sarebbe stato possibile.
La struttura dell’opera ci propone decine e decine di episodi che, uniti in un unica trama, formano il racconto della nascita e dell’affermarsi del fascismo in Italia, negli anni compresi fra il 1919 e l’inizio del 1925: la nostra storia di un secolo fa, fatti e uomini che hanno travolto un presente che vedeva l’Europa uscire dalla Grande Guerra per trascinarla nella tragedia del secondo conflitto mondiale.
Al termine della lettura si resta interdetti: ma davvero tutto è andato come emerge dalle pagine del libro? Davvero sarebbe bastato così poco per fermare la follia? Per impedire ad un piccolo gruppo di uomini – che emergono come campioni della sprovvedutezza, dell’ignoranza, dell’improvvisazione – di dare vita ad una delle più violente dittature del Novecento?
Scurati delinea un percorso chiaro, cita eventi, descrive personaggi e comprimari: la storia fluisce, ora lineare e travolgente, ora attraverso percorsi più tortuosi e incerti. L’autore attinge a piene mani dagli atti parlamentari dell’epoca, dalle pagine dei maggiori quotidiani nazionali, dai rapporti di polizia, dai documenti di archivi pubblici e privati.
Il risultato è un grande affresco dell’Italia stremata dalla guerra, insoddisfatta dell’eredità ricevuta, sempre più lontana dalla politica di palazzo, alla ricerca di una via d’uscita. Al centro c’è Mussolini, il figlio di un secolo che consegna alla storia violenze e milioni di morti.
Il libro si apre nel marzo 1919, e l’autore ci dipinge M. come inquieto, ambizioso ma spaurito di fronte al fallimento di quell’adunanza in piazza San Sepolcro a Milano che per la fondazione dei fasci di combattimento radunò meno di cento persone. Oltretutto M. è ammalato di sifilide: ha trentacinque anni ma già da tempo è stato cacciato dall’Avanti! e dal Partito Socialista. Il Popolo d’Italia, da lui fondato, non naviga in buone acque: la direzione è angusta e in una delle zone più malfamate di Milano.
Meno di sei anni dopo, nel gennaio 1925 M. è a capo del Governo: la marcia su Roma è stata poco più di un bluff ma è servita a percorrere un bel pezzo di quella strada già spianata dai manganelli, dalle mazze ferrate, dalle pistole e dai fucili degli squadristi che pian piano sono emersi dalle periferie italiane tra indicibili violenze.
M. è passato indenne anche attraverso l’uccisione più eccellente, quella di Giacomo Matteotti: nel libro l’episodio è trattato con straordinaria lucidità e assoluto realismo e Scurati ci mostra come, ancora, quella poteva essere l’occasione per fermare l’onda nera. Sarebbe bastato poco: ma né il re né il Parlamento lo compresero ed M. poté, indisturbato, diventare Duce.
Paolo Bissoli