Nel centenario della morte di Roccatagliata Ceccardi
In due saggi critici ,“Poeti e paesaggi di Liguria” del 1925 e “Primavera” del 1934 Eugenio Montale” dà rilievo alle liriche di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (Genova, 1871 -1919), di Ortonovo per parte di madre; lo dice “Padre dei cantori della terra ligure, poeta elegiaco e paesista, ancora in attesa di giustizia”. Amico di Manfredo Giuliani col quale diede vita nel 1906 alla rivista “Giovane Apua” con collaborazione di Paride Chistoni, Pietro Ferrari, Luigi Buglia, Ubaldo Formentini, Corrado Martinetti; suggestioni dannunziane e nazionalistiche li renderanno interventisti.
Nei 13 sonetti di “Apua Mater” Ceccardo esprime entusiasmo per le glorie locali della Lunigiana. Della terra ligure, con vario esercizio di metrica e di stile, canta i personaggi, la storia e il profilo dei suoi borghi, è come un’esigenza di consolazione della sua radicale infelicità di disadattato nella vita personale e nella cultura letteraria, situato tra tradizione e le nuove esperienze simboliste, impressioniste e crepuscolari. La poesia la sente come improvvisa illuminazione (imparava da Rimbaud) e i ricordi del passato li viveva come “cosa sacra” per conoscere se stesso. Amore, dolore, morte, paesaggio, la pietà verso gli uomini sono la vera voce di Ceccardo. Cantò l‘epopea dei lavoratori delle cave dove “da la vetta piomba / la morte con precipite rovina”, difese i cavatori nelle proteste del 1894.
L’ode saffica “Dalla torre di Mulazzo” dai toni eloquenti, dedicata allo storico Giovanni Sforza, è come un volo da Pontremoli a Fosdinovo che dà identità sintetica ai paesi e a personaggi grandi che vi furono ospiti. Mulazzo lo delinea con le case che si stringono e salgono a scala in curvo sentiero dove si aprono piazzole e brevi archi, ospitò Dante accolto da Franceschino Malaspina, le donne spargevano rose al loro passaggio. Dalla torre ora diruta l’occhio si posa su una terra di castelli e in basso si insinua il Magra nel grembo dei monti.
Pontremoli è “costretta entro il telaio de le quattro torri” (così in passato aveva titolo la pagina di cronaca cittadina del Corriere Apuano). Filattiera sul poggio allinea alberi e tetti e “al vapor di Villafranca cenna”, manda segnali al “vapor”(da intendere un marchese Malaspina, forza come il “vapor di val di Magra” Moroello, oppure, in senso atmosferico, la nebbia?) . Lusuolo ha castello cinto di “opime viti”. Olivola come una creatura in lunghi segreti colloqui dialoga con Bibola romita.
Giovagallo innalza la torre “sul montano golfo”, dove l’aurora posa la sua rosea chioma sul mormorio del bosco ma non richiama all’umile preghiera e alla vita attiva Alagia Fieschi sposa di Moroello Malaspina; con tenero rimpianto è ricordata dallo zio papa Adriano V nel girone degli avari nel Purgatorio di Dante, rimasta buona da sé, per indole, nonostante il cattivo esempio dei familiari, è l’unica che prega per lui.
Licciana fra tanti alberi è nido tacito di eroi (Ceccardo aveva in mente Anacarsi Nardi?). L’abbazia di Linari piange distrutta sui monti. Fosdinovo su rupestre torrione chiede che Monte Corvo gli mandi frate Ilario, il discusso presunto autore di un’epistola in cui dice che al monastero giunse un personaggio, interpretato come Dante, che gli consegnò l’Inferno, spiegò perché invece che in latino avesse scelto la lingua volgare, perchè “conveniente ai sensi moderni” in cui il latino non è più “cibo masticabile” dal popolo, e si allontanò dicendo che cercava pace.
Sarzana richiama l’ombra del poeta stilnovista Guido Cavalcanti, amico di Dante, vi fu esiliato perchè facinoroso esponente della fazione fiorentina dei bianchi in lotta coi neri, vi contrasse la malaria che lo portò alla morte appena rientrato a Firenze. Da Castelnuovo sede del feudo vescovile si guarda Luni deserta, per Dante simbolo come Orbisaglia che città e dinastie hanno termine come tutto ciò che è terreno.
In calce l’ode riporta “Pontremoli, 23 settembre 1906”, lo stesso giorno delle celebrazioni dantesche a Mulazzo. (m.l.s.)