La copertina color sangue è già una potente chiave d’accesso al contenuto di Sindrome 1933 (Feltrinelli, 2019), un saggio dello storico e filosofo Siegmund Ginzberg, nato a Istanbul nel 1948 in una famiglia ebrea giunta a Milano. Riproduce la fotografia di migliaia e migliaia non di persone ma del loro braccio destro allineato a gridare consenso al tiranno tedesco legalmente nominato cancelliere dal presidente della Repubblica di Weimar il 30 gennaio 1933.
I partiti litigavano, nessuno aveva la maggioranza, un contratto di governo tra due partiti [vecchio centrodestra e populisti nazionalsocialisti] che si erano insultati fino al giorno prima, Hitler raggiante al balcone, i socialdemocratici minimizzano il pericolo, i comunisti aspettano la rivoluzione: sono cose già viste nel 1933. Sembrava un governo che non sarebbe arrivato a primavera, una carnevalata. E invece…
Per sconfiggerlo ci vorrà la più sanguinaria guerra della storia umana. I tedeschi si fecero incantare dal pifferaio abilissimo ad affascinare con menzognera propaganda, continuarono a credere ”religiosamente” in Hitler anche dopo esser precipitati nel burrone, diedero consenso anche ai comportamenti più atroci e disumani del regime. Fu il sonno della ragione.
In Sindrome 1933 Ginzberg nel suo giudizio di storico osserva che, oltre alla propaganda pianificata scientificamente, i populisti nazisti toccavano tasti cui la gente era sensibile. Blandivano interessi reali e diffusi non solo dei capitalisti, davano elargizioni in cambio di consenso. Arrivarono al potere in modo banale, all’improvviso, ma in pochi mesi con una raffica di decreti fecero fare una brutta fine alla più vivace e avanzata democrazia dell’Europa, al partito socialista democratico più grande e organizzato.
Ginzberg, inviato in tanti paesi, spiega al lettore il perché di questo suo libro: al presente, da qualche tempo stampa, telegiornali, i discorsi captati al bar o sull’autobus danno l’impressione di aver già ascoltato le stesse situazioni, ma in tutt’altra epoca e altro luogo.
Certamente la storia non si ripete, ci sono però analogie su cui riflettere, capire e distinguere per non ripetere gli stessi errori ; quelle più evidenti in Italia sono una eterna campagna elettorale, un partito del ”popolo” né di destra né di sinistra, un “improbabile” contratto di governo, parole grosse, spesso false e maleducate diffuse in rete telematica, il debito, la stagnazione, la gestione demagogica e irresponsabile delle finanze, un’opposizione divisa e quasi inerte, l’Europa in crisi.
Analogia inquietante è tra l’odio contro gli ebrei allora e quello oggi contro gli stranieri: la “tribù” italiana si sente minacciata e tira fuori un nemico da cui difendersi e compie atti di razzismo e disumanità prima nascosti dal mito ”italiano, brava gente”.
Sono sessanta milioni gli italiani che hanno migrato e continuano ad emigrare: non accogliere è una vergogna, non è giusto. Libertà e democrazia sono per se stessi valori forti, qui è la nostra speranza, ce la mettiamo tutta contro sovranismi, protezionismi ed egoismi individuali e nazionali, vogliamo essere cristiani, semplicemente umani.
Maria Luisa Simoncelli