
Scoperto ed incoraggiato da Pier Vittorio Tondelli che nel 1990 presso Transeuropa lo inserisce nel collettivo di racconti “Papergang”, Giuseppe Culicchia nel 1994 fa il suo esordio col botto con “Tutti giù per terra” “Garzanti” da cui il regista Ferrario trae il bel omonimo film con un folgorante Valerio Mastandrea. Una bella storia di formazione per una realtà sociale ed umana in cui regna sovrano il precariato, soprattutto giovanile, ed in cui prefigurava con ironica ed affilata intelligenza una situazione ancora oggi di allarmante attualità.
Oggi con questo “Il cuore e la tenebra” (Mondadori, pagg. 218, euro 17) dopo una ventina di opere che lo fanno presenza di grande interesse nel panorama letterario, sembra cambiare completamente registro rispetto al precedente misurandosi con una narrazione in cui all’abituale registro ironico succede un tono dolente ed una vicenda che in qualche modo sembra addirittura provocare una sorta di resa dei conti rispetto al novecento.
Giulio Rallo, trent’anni , fotografo, apprende quasi casualmente della morte improvvisa del padre Federico da tempo residente a Berlino. Era un grande direttore d’orchestra, anche dei Berliner, da tempo divorziato, aveva terminato la sua carriera a causa del tentativo perseguito per una vita di eseguire la nona sinfonia di Beethoven nello stesso modo di quella avvenuta da parte di Wilhelm Furtwangler il 29 aprile del 1942 in occasione del compleanno di Hitler.
Era molto legato ai figli, oltre a Giulio Pietro di poco più grande, e la separazione dalla moglie non gli aveva impedito di essere una presenza affettuosa ed attenta nei loro confronti anche se Pietro da tempo non voleva più contatti con lui. Giulio si reca a Berlino con immediatezza per dare corso a tutte le necessità conseguenti l’accaduto. Nell’appartamento del padre provvede a sistemare ciò che è rimasto e nell’aprire il computer paterno scopre una serie di file che lo porteranno a molte sorprese.
Quella più sconvolgente è costituita da una serie di considerazioni sul nazismo che, oltre che inaspettate, si rivelano del tutto sconvolgenti. Nel cercare di capire il senso di quanto sta leggendo ed apprendendo inevitabilmente la memoria va ai ricordi della figura paterna ed agli avvenimenti che per tanto tempo li hanno accomunati. Da una parte la conferma dello sconfinato amore paterno, della comunità familiare, delle tenerezze ed anche delle incomprensioni, dall’altra l’allucinante e lucido implacabile percorso che il padre mostra di aver effettuato per arrivare alle dichiarazioni esplicite quanto deliranti, per Giulio, consegnate al computer come una sorta di testamento spirituale.
Per il giovane si rivela un difficile percorso cui alcune testimonianze di persone che lo hanno conosciuto e frequentato invece di spiegare sembrano ingarbugliare ancora di più questa sorta di resa dei conti tra padre e figlio destinata comunque a lasciare tracce profonde. Amore, tradimento, ossessione e nostalgia sembrano costituire una miscela destinata a produrre ulteriori sconquassi, le traversie familiari e la grande Storia sembrano il raccordo più evidente per un tempo in cui la catastrofe incombe.
Un romanzo, come qualcuno ha detto, tragico e profondo, dolente e commosso in cui Culicchia si dimostra ancora una volta uno degli autori più capaci e consapevoli del nostro tempo. A testimonianza della varietà degli interessi e delle capacità narrative di Culicchia consiglio di leggere il coevo “Superga 1949” (Solferino, pagg.127, euro 10) sulla omonima tragedia ed indicato non solo per tifosi torinisti ma per amanti dello sport vero e della scrittura.
Ariodante Roberto Petacco