Domenica 9 giugno. Pentecoste
(At 2,1-11; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26)
A Gerusalemme si festeggia Shavuot, la ‘Festa delle Settimane’, nota in greco come Pentekosté: la commemorazione della consegna della Torah a Mosè e, per tradizione, l’inizio della mietitura. I discepoli sono tutti riuniti nella stessa casa.
Il Maestro è asceso al cielo, ma ha promesso loro che invierà un “Paràclito”, uno che li accompagni e li protegga. E nel giorno della Pentecoste, sentono un forte rumore, come di vento, e vedono lingue di fiamma depositarsi su ciascuno di loro. E subito, lo Spirito Santo li pervade. E si ricordano delle parole che Lui aveva rivolto loro, dopo la cena del commiato: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre”.
Quando il Maestro parlava di amore, lo faceva secondo coordinate chiare, inequivocabili. Una delle espressioni più famose di sant’Agostino è “Ama, e poi fa’ ciò che vuoi!”. Poetica, ma sibillina. Nel Vangelo, la libertà di fare ciò che si vuole non riguarda l’amore in sé, perché l’amore cristiano è intriso di regole indiscutibili, definite da Dio che, avendoci amati per primo del suo amore infinito, desidera da noi una risposta adeguata. Non necessariamente immediata, né costante, perché il Suo amore è paziente e fedele, e Lui sa aspettare.
Anche il recente mito dell’amore libero, caro alla generazione che ha vissuto la sua adolescenza e giovinezza a cavallo degli anni settanta del secolo scorso, viene messo in crisi da questa Parola. L’amore cristiano è libero, ma ha la sua radice profonda nel Vangelo, che ci parla di fedeltà, di obbedienza, di perseveranza, di sacrificio di sé e anche di croce, e di morte e, infine, di risurrezione e, nel frattempo, continua a parlarci dell’amore.
Con l’aiuto dello Spirito i discepoli comprendono che l’osservanza religiosa non si limita alla pratica esteriore della liturgia, ma richiede relazioni quotidiane con Dio e con gli uomini. La risposta all’amore di Dio è la cura del prossimo. L’unico modo per raggiungerLo è passare attraverso i nostri simili. Non c’è una strada verso Dio che non passi per il fratello. Loro sono stati raggiunti dallo Spirito Santo e ne diventano portatori.
Fino a quel momento non erano capaci di amare davvero. Lo Spirito li aiuta a uscire fuori dall’egemonia del sé che conduce alla morte, come insegna il mito di Narciso, così attuale. In quel momento capiscono e insegnano a tutti che quella che avevano creduto fosse la verità era un inganno: la libertà era solo prevaricazione e il progresso era un progetto di rivalsa dell’uomo sull’uomo.
Usciti in strada, lodano Dio e parlano di Gesù alla folla. Una folla variegata, composta di “Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo”, eppure sono compresi da tutti, ciascuno li sente nella propria lingua. L’amore di Dio trascende le barriere linguistiche, è un linguaggio universale, che comprende ogni uomo.
Dopo migliaia di anni la dispersione delle genti avvenuta a Babele viene sanata e gli uomini si riscoprono fratelli nello Spirito Santo.
Pierantonio e Davide Furfori