
La mancanza di politiche familiari aggiornate pesa sulle scelte dei giovani
Quanto è importante il matrimonio in Italia? I dati dell’Istituto europeo di statistica sembrerebbero volere affermare che sia profondamente in crisi. In uno studio che prende in esame il numero di matrimoni per mille abitanti in 30 Stati, si scopre che i numeri maggiori si rilevano in Lituania (7,5 matrimoni ogni mille abitanti) e in Romania (7,3). Seguono Cipro e Lettonia (6,8 in entrambi i paesi) e Malta (6,3). Poi tanti Paesi del Nord e dell’Est, mentre i Paesi mediterranei rimangono in coda.
L’Italia è penultima in classifica con 3,2 nozze celebrate ogni mille abitanti. Peggio di noi solo la Slovenia, ferma al 3,1. Si tratta di dati da prendere con una certa cautela, perché sul numero di matrimoni pesa la struttura demografica – in Paesi con meno giovani è logico attendersi un minor numero di nozze celebrate – e anche le mutate prassi sociali.
Detto questo, è innegabile che la tendenza descritta rappresenti un allarme, l’ennesimo, per la tenuta demografica e sociale dell’Italia. E per smorzare le preoccupazioni non basta aggiungere ai matrimoni le convivenze, che certamente possono in parte compensare il basso numero di nozze celebrate. Si tratta di un elemento che poco toglie all’analisi: le convivenze sono consuete anche in altri Paesi europei, soprattutto in quelli del Nord, e sono entrate nel costume da molto più tempo.
Ciò nonostante, il numero di nozze celebrate è ovunque più alto che in Italia. Se nel Belpaese ci si sposa meno che altrove in Europa è evidentemente l’ennesimo segnale di una società incapace di generare il giusto clima per la costruzione di nuovi progetti familiari. Gli 86mila giovani che nel 2018 hanno abbandonato l’Italia – per trovare lavoro ma anche condizioni più favorevoli alla costruzione di nuove relazioni – ne sono la testimonianza più tangibile.
Ma non solo: a sostegno delle scelte dei giovani manca un welfare che esca dalla logica familistica secondo la quale nei momenti di passaggio, come quello dall’età giovanile a quella adulta, sono i genitori a farsi carico di redditi bassi o della mancanza di occupazione. Altrove in Europa gli interventi dello Stato sociale convincono i giovani a uscire di casa e a sposarsi con percentuali che sono anche doppie rispetto all’Italia. Pesano, poi, il blocco dell’ascensore sociale, il senso di precarietà occupazionale che si tramuta in precarietà esistenziale, l’assenza di diritti, l’atmosfera di un Paese ripiegato su se stesso, incapace di trovare una rotta condivisa e di percorrerla.
Sono elementi che, messi assieme, tutto determinano tranne la voglia di scommettere sulla possibilità di farcela da soli e di creare un legame duraturo capace, almeno potenzialmente, di reggere ai normali urti della vita e di essere costruttore di una società più coesa e meno individualista.
Davide Tondani