All’inizio del Novecento le partenze diventarono un fenomeno di massa: se ne andarono in tanti, specie giovani, alla ricerca di opportunità negate
È nei primi anni del Novecento che i paesi dell’alta Valle del Magra si svuotano, dapprima temporaneamente e poi in maniera definitiva. Le difficoltà economiche, che spesso si traducevano in una vita estremamente difficile per le famiglie assai numerose, indussero molti giovani a scegliere la via dell’America.
Se ne andarono in tanti, spesso in gruppo, alla ricerca di fortuna (talora anche per suggire alla chiamata alle armi alla vigilia della prima guerra mondiale), alcuni per fare ritorno alcuni anni dopo e comperare, con il danaro faticosamente risparmiato, una porzione di casa, un terreno, così da offrire una vita più dignitosa a se stessi ed alle loro famiglie.
Ma assai spesso accadeva che il ritorno era solo temporaneo: dopo pochi anni eccoli riprendere la via di Genova (ma il porto di imbarco è anche quello di le Havre) per una seconda o una terza puntata in “terre assai lontane” finalizzata a mettere da parte un po’ di risparmi da riportare a casa assieme alle esperienze più disparate. Oppure per chiudere definitivamente la porta di casa, per affrontare le insidie dell’Oceano assieme a moglie e figli.
Gli archivi degli sbarchi al porto di New York sono ricchi di nomi di emigrati di Valdantena, Pracchiola, Cargalla, Cavezzana d’Antena e Gravagna (per citare soltanto i paesi che più direttamente ci interessano) che scendono dai bastimenti per affrontare la quarantena e poi le sfide del nuovo mondo. Ed attraverso le carte di imbarco consultabili tramite www.ellisisland.com si ritrovano le tracce di tante storie familiari: i ricongiungimenti, la chiamata degli “amici”, talora veri, ma spesso semplici procacciatori di manodopera che percepivano somme di danaro per “chiamare” negli States sconosciuti che, poi, dovevano ripagare loro il servizio reso attraverso puntuali prelievi dal loro salario.
Due anni che ci ha lasciati: nel nostalgico ricordo di Giulio Armanini
Sono due anni che Giulio Armanini ci ha lasciati. Il suo nome e la sua “presenza” riecheggiano spesso qua al Corriere Apuano, ma quello che pesa è la mancanza: dei suoi consigli preziosi, dei contributi mai banali, delle critiche mai fuori luogo. Condividiamo dunque con i lettori un momento di ricordo di Giulio dedicandogli una pagina del “suo” giornale con due brevi saggi che aveva scritto una dozzina di anni fa per il suo personale blog “Alla sorgenti del Magra”. Il soggetto che li accomuna è la gente della sua terra, quella Valdantena alla quale è stato legato fino all’ultimo nonostante fosse presto “emigrato” in città con i genitori. L’analisi della popolazione dei paesi della valle nel 1841si presta a completare il saggio sull’emigrazione, quella stagione di partenze (spesso senza ritorno) che hanno segnato il nostro territorio.
Una storia che oggi si ripete, qua da noi, per persone di altre nazionalità che cercano il loro miraggio in Italia. Ed attorno a questi fatti si sviluppano mille storie che varrebbe la pena ritrovare. da quelle di chi ha ricostituito in una via o in un quartiere di new York una sorta di succursale del paese d’origine, a chi è arrivato negli USA per sentirsi dire dal parente che lo aveva “chiamato”: “E adesso arrangiati…”, da chi ha fatto fortuna a chi non ha resistito alle difficoltà di una lingua incomprensibile e ai morsi della nostalgia e dopo una settimana ha ripreso la via dell’Italia.
In quegli anni nasceva a New York la “Pontremolese”, vera e propria società di mutuo soccorso, che si proponeva di prestare aiuto, in un mondo in cui la previdenza sociale era un termine del tutto sconosciuto, quanti subivano disavventure e rischiavano l’indigenza totale che li avrebbe resi vittime di un caporalato senza scrupoli. Si trattava di una associazione, alla quale ognuno contribuiva con modesti versamenti, che dimostrò più volte la propria funzione sociale, soprattutto quando si trattò di rimpatriare a carico dell’Associazione gli infortunati sul lavoro (numerosi, dal momento che le occupazioni più frequenti – ed anche più ambite, perché più redditizie – erano quelle legate al lavoro in miniera).
La foto [che pubblichiamo qui sopra, ndr], scattata attorno al 1915, rappresenta Adolfo Lisoni di Toplecca, che assieme ad un conterraneo, è impegnato nella posa di tubature all’esterno di una miniera. Il Lisoni, rientrato in Italia, mise a frutto le esperienze maturate negli USA quando, qualche anni dopo, la frazione di Toplecca venne collegata alla rete elettrica e era lui ad avere le competenze per riattivare i primi rudimentali impianti elettrici quando questi, in molte delle abitazioni del paese, facevano le bizze.
Giulio Armanini