Un provvedimento varato tra tante attese, perplessità e critiche
Il reddito minimo voluto dai 5 Stelle e impropriamente battezzato “di cittadinanza” – termine con il quale invece si indica un sussidio universale e senza condizioni di alcun tipo – è stato varato. È il tentativo di risposta ad un problema tragico e reale: secondo Istat, nel 2017 in Italia vivevano in povertà assoluta 5 milioni di persone, dati di fronte ai quali l’ironia dell’opposizione – severamente punita nelle urne anche per avere a lungo snobbato i problemi sociali che ferivano il Paese – denota scarsa lucidità politica.
Già tra il 1998 e il 2001 i governi dell’Ulivo sperimentarono qualcosa di simile in 306 comuni di diversa dimensione e collocazione geografica: il “reddito minimo di inserimento”, un programma che offriva denaro, assistenza sociale e riqualificazione occupazionale ai cittadini privi di altri sostegni; un sussidio di ultima istanza che in Europa mancava solo in Italia e Grecia.
Quella sperimentazione diede risultati chiari.
Primo: il sussidio funzionava, ma con il rischio che tra i beneficiari ve ne fossero molti senza diritto.
Secondo: per l’assistenza sociale era fondamentale il ruolo dei comuni, molti dei quali però dotati di servizi sociali non all’altezza.
Terzo: i Centri per l’Impiego non erano in grado di proporre percorsi occupazionali.
Oggi il governo propone una misura simile senza minimamente prendere in considerazione i risultati di quello esperimento, anzi, cancellando con un tratto di penna pure il reddito di inclusione (Rei) introdotto nel 2017 dopo un virtuoso confronto con le associazioni del terzo settore impegnate nella lotta alla povertà.
Il reddito di Di Maio non coinvolgerà né il volontariato né i comuni, se non chiedendo loro di approntare in pochi mesi lavori di pubblica utilità per i percettori del sussidio.
A quei Centri per l’Impiego che 20 anni fa mostravano grossi limiti di capacità e che sono stati ulteriormente indeboliti, si chiede di sviluppare politiche attive a favore dei disoccupati. È difficile pensare che gli 8 mila dipendenti attuali (in Germania sono 110 mila) più i 10 mila che lo Stato assumerà in fretta e furia, saranno capaci di dare una svolta in tempi brevi.
Chi ne ha diritto e come averlo
Il cosiddetto reddito di cittadinanza partirà in aprile. Sarà riconosciuto alle famiglie con cittadinanza italiana o di paesi Ue, o con permesso di soggiorno di lungo periodo. Sarà vincolato all’Isee della famiglia, che dovrà essere inferiore a 9.360 euro.
Inoltre, il patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa di abitazione, non dovrà superare 30 mila euro, mentre il patrimonio finanziario dovrà essere non superiore a 6mila (20mila euro per le famiglie con disabili). Il sussidio non potrà essere inferiore a 480 euro e prevede componenti aggiuntive, fino a un massimo di 3.360 euro, per chi vive in affitto.
Per accedere al sussidio occorrerà fare domanda all’Inps; il beneficio sarà erogato attraverso una carta prepagata di Poste italiane. Il beneficiario verrà contattato dai Centri per l’impiego per individuare il percorso di formazione o di reinserimento lavorativo da attuare.
Oltre alle otto ore da dedicare a impieghi di utilità collettiva (individuati dai comuni), il percettore non potrà rifiutare tre proposte di lavoro “congrue” con il suo curriculum e la distanza da casa, pena la perdita del beneficio.
La prima offerta di lavoro potrà arrivare entro 100 km, la seconda entro 250 km, la terza offerta potrà arrivare da tutta Italia (entro 250 km per le famiglie con persone disabili). Le aziende che assumono un beneficiario nei primi 18 mesi di fruizione del beneficio ottengono un esonero contributivo pari alla somma del sussidio per i mesi mancanti al diciottesimo.
Se il potenziamento dei Centri per l’impiego fallisse, il reddito di cittadinanza si trasformerebbe in un’immensa operazione assistenziale corredata di abusi e furbizie. Al contrario, se questi enti inizieranno davvero a offrire lavoro, emergerebbe il vero volto di questo programma: la fine del sussidio per chi, in prima battuta, non accetta un’occupazione a 100 km da casa, che diventano 250 alla seconda proposta; alla terza salta ogni limite e il lavoro può essere offerto in tutta Italia.
Tale impostazione mostra il volto più vendicativo e punitivo del welfare in stile Tatcher e Blair, i quali pensavano che l’aiuto dello Stato nel trovare un lavoro fosse una colpa da espiare. I grillini, nella loro cultura politica qualunquista e senza radici, di questo probabilmente non hanno nemmeno percezione. Ma a giudicare dalle dichiarazioni che puntano il dito contro fannulloni beneficiati senza alcuna contropartita, nemmeno l’opposizione di centrosinistra mostra maggiore consapevolezza.
(Davide Tondani)