
Nato all’Asmara da una famiglia triestina quanto meno cosmopolita, Gianfranco Calligarich è cresciuto a Milano per poi trasferirsi a Roma lavorando come giornalista e sceneggiatore, anche per la RAI. Ha fondato un teatro anche presentando testi originali di sua mano finchè nel 1973 pubblica “L’ultima estate in città” (Garzanti 1973, Aragno 2010, Bompiani 2016). Seguiranno “Privati abissi” (Fazi 2011), “Principessa” ( Bompiani 2013), “Posta prioritaria” (Garzanti 2003 e Bompiani 2015), “La malinconia dei Crusich” (Bompiani 2016).
Se in quest’ultimo appare evidente la matrice autobiografica la stessa cosa, forse, ci porta all’attuale “Quattro uomini in fuga” (Bompiani 2018, pagg. 303). In un imprecisato paesino della padania spendono la loro vita quattro giovani che potrebbero direttamente provenire dalle esperienze dei “I vitelloni” o de “I basilischi” di felliniana e wertmulleriana memoria. Casablanca (ah il cinema !) si trascina in una supplenza precaria dopo aver dato vita anche ad un cineclub miseramente fallito, Paolo (con la faccia da Jack Palance) è il figlio di un ricco allevatore di bestiame che pur possedendo una Ferrari è costretto dal padre con cui lavora ad andare a piedi perchè mancano i soldi della benzina, Elio è un bassotto sempre ringhioso tenuto a stecchetto dalla moglie in un piccolo negozio mentre Sauro, bellissimo ed affascinante, è l’artista della ceramica senza lavoro ma con un codazzo di belle ragazze che lo assediano.
La noia regna sovrana quando il quartetto decide per il colpo della vita: rapire un toro da riproduzione di inestimabile valore (dell’azienda del padre di Paolo), chiedere un riscatto e volare verso un futuro di gloriosa libertà.
Naturalmente il piano fallisce in maniera grottesca e tragica e quindi non resta che abbandonare il paese verso Roma al seguito di una improbabile dark lady che in veste di attrice si era esibita nel teatrino del paese. Il sogno è di costituire una compagnia teatrale che possa inserirsi nel circuito delle compagnie off che nella capitale non mancano. Anche qui, inevitabilmente, si avvia il fallimento se non fosse che un misterioso e ricchissimo personaggio, forse invaghito dell’attrice, non interviene proponendosi come mecenate senza condizioni. Chissà come andrà a finire…
Questo romanzo scoppiettante si può gustare in molti modi: dalla parte iniziale con la presentazione dei personaggi nel paese e la rappresentazione, rapida ed efficace, del loro mondo interiore e di quello che li circonda si passa alla parte relativa al colpo grosso del rapimento intrecciato con affondi tra il tragico ed il malinconico destinati a lasciare il segno.
Non si può poi prescindere con l’accurata ed irresistibile visione del mondo dello spettacolo, non solo teatro, in cui l’esperienza personale di Galligarich fornisce una mirabile tavolozza. Nello stesso tempo un doppio di Casablanca, che inaspettatamente si presenta al lettore in funzione determinante, porterà al romanzo quel tanto di surreale che conferma una personalità dotatissima per una scrittura assolutamente coinvolgente per un autore che necessariamente va letto attraverso tutte le sue opere.
Ariodante Roberto Petacco