Pontremoli, il Comune che nel Medioevo ebbe forza per sottrarsi ai Malaspina

All’Unitre la conferenza sull’indipendenza del borgo dalla famiglia feudale

Il Castello del Piagnaro a Pontremoli
Il Castello del Piagnaro a Pontremoli

La famiglia feudale dei Malaspina insediò la sua dimora in Lunigiana a partire dal 1221 trasferendosi dal castello di Oramala in territorio di Pavia e vi mantenne i suoi tanti piccoli feudi moltissimo tempo dopo il tramonto del sistema feudale nel resto d’Italia. Solo nel 1797 nella prima campagna napoleonica in Italia il generale francese Chabod decretò la fine del marchesato dei Malaspina in Lunigiana, che non dominarono mai il Comune di Pontremoli.
Del perché non presero l’oppidum fortificato sul colle del Piagnaro ha fatto relazione agli incontri dell’Unitre Andrea Baldini giovedì 7 febbraio. Certo è che il “Comune” consolidò presto il suo autogoverno, in conformità col fenomeno tipico delle “città-stato” della dinamica e florida civiltà comunale, che si affermò dopo il Mille soltanto nell’Italia centrosettentrionale e nelle Fiandre, dapprima gestito dagli antichi signori di un territorio e poi da una rinata borghesia, che fa “risorgere” le città, decadute nei secoli delle invasioni barbariche, o di nuova origine, che avviano le attività proprie della città (“Burg” in tedesco ed etimo di “borghesia”) che sono le professioni, le manifatture (le “arti” organizzate in corporazioni), il mercato in integrazione col contado (etimo di contadino) che fornisce i prodotti alimentari.
I vari studiosi locali che hanno scritto del “Comune” di Pontremoli nel Medioevo (Sforza, Ferrari, Giuliani, Zucchi Castellini) lasciano cadere la favola di Apua creata nel XV secolo e fatta propria con ingenuità critica da Bernardino Campi.

Lo stemma dei Malaspina, ramo dello "Spino Secco"
Lo stemma dei Malaspina, ramo dello “Spino Secco”

A sostenere l’autonomo governo concorse la locazione geografica di un centro sviluppatosi sull’ultimo sperone del monte Molinatico nel punto di convergenza di un ventaglio di valichi, i più bassi e agevoli di tutta la catena appenninica, davvero “porta e chiave” e pertanto sotto l’interesse dei forti Comuni padani e degli stessi imperatori a tenerlo libero dai Malaspina coi loro diritti predatori e corvées.
Il ramo obertengo degli Este aveva ceduto ai Malaspina i loro diritti sulla Lunigiana, vi si trasferiscono dalla val Staffora perché cacciati dai liberi Comuni di Tortona e Piacenza e subito divisi tra “spino secco” e “spino fiorito”. L’applicazione del diritto longobardo, che trasmetteva l’eredità a tutti i figli maschi e non solo al primogenito, rese i feudi malaspiniani sempre più deboli e di area minuscola, non poterono e non intrapresero neppure l’impegno di sottomettere Pontremoli, che, anche quando passerà sotto il dominio milanese, spagnolo e fiorentino, manterrà gli ordinamenti della sua Comunità: situazione che faceva comodo anche ai feudatari Malaspina di investitura imperiale e quindi ghibellini.
La sua difesa fin dal primo momento fu legata essenzialmente al castello del Piagnaro, che fu sempre guarnigione armata e non residenza di governo. Pietro Ferrari ricostruisce l’origine “signorile” del Comune di Pontremoli inizialmente costituito dal “consorzio”, dal mettersi insieme degli antichi “signori” del luogo, erano gli Adalberti, che lo resero il loro principale centro, già in pieno sviluppo intorno al 1050, dunque assai presto e rimasto libero, coi suoi “donnicati” circostanti comprendenti anche lo zerasco e la valle del torrente Caprio, nonostante le fazioni che lo dilaniarono al suo interno.
Con lo sviluppo del borgo ai piedi del castello dall’origine signorile si fece Comune abitato da un ceto medio di mercanti e artigiani e da elementi signorili inurbati dai castelli vicini, un “borghesatico” che si faceva casa in città e giurava fedeltà al “Comune”. Tra questi anche vassali dei Malaspina, ma senza alcuna giurisdizione.

M.L.S.

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