Dio, come tutti sappiamo, creò il mondo in sei giorni. E il settimo si riposò. Con questo giorno, se possiamo chiamare, di “intervallo” dalle normali attività, intendeva indicare all’uomo l’obbligo di fermarsi per un po’ e cominciare a riflettere. Su se stesso, sui tantissimi “perché” del mondo e dell’esistenza; sul Bene e sul Male; ma anche sulla bellezza e sull’amore. Abbiamo bisogno di mettere dei paletti al calendario, di vivere tanti “settimi giorni” per fermarci a riflettere, meditare, festeggiare o rattristarci.
Questo vale anche per il Giorno della Memoria, ricorrenza internazionale che si celebra il 27 gennaio per commemorare le vittime dell’Olocausto. Lo ha deciso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite il primo novembre 2005. Quando il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa aprirono i cancelli di Auschwitz il mondo intero poté vedere non solo i testimoni della ferocia nazista, ma anche gli strumenti di tortura utilizzati all’interno del lager.
L’Italia istituì formalmente la giornata commemorativa, con alcuni anni d’anticipo, delineata attraverso gli artt. 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 per ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che subirono la deportazione, la prigionia, la morte ed anche coloro che, in campi e schieramenti diversi, si opposero al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita, salvarono altre vite ed altri perseguitati.
Non solo non dimenticare. Altrettanto importante è capire come e perché la follia dell’odio, del genocidio, delle persecuzioni è diventata Storia. Capire bene parole come razza, pregiudizio, antisemitismo, lager, Shoah e meditare sull’orrore e sulla sofferenza di sei milioni di ebrei, fra cui un milione e mezzo di bambini. Stragi ed atti di crudeltà, nel corso delle guerre se ne contano a iosa, ma sempre, per così dire, a caldo, nel fuoco perverso di logiche violente.
L’eccidio del popolo ebraico invece è avvenuto a freddo. Lo hanno voluto ciecamente seguendo la follia di Hitler e dei burocrati tedeschi. Uno sterminio deciso negli uffici di un Paese considerato civile, colto, evoluto. Simboli, dunque, di quanto la cultura e l’apparente civiltà non si siano dimostrati sufficienti. Il Male può erompere anche dalle viscere di un mondo curato dove si leggono poesie e si ascolta Beethoven. Perciò siamo sempre in pericolo, noi, come l’Umanità.
Non corriamo il rischio di vivere la Giornata della Memoria come stanca, ripetitiva celebrazione. Sarebbe un’ulteriore catastrofe anche perché si aggirano, in questo nostro tempo nebuloso, terribili mostri che non possiamo ignorare. Il vero senso da dare alla Giornata della Memoria è quello che, insieme al ricordo delle immani brutture dello sterminio, si rafforzino i valori del rispetto della vita e della dignità dell’uomo.
Unitamente alla pietà, all’amore e alla speranza affinché questi sentimenti prevalgano per sempre nel cuore delle persone. Dal tremendo cumulo di morti, l’inno al dono dell’esistenza nella consapevolezza che il bene e la bellezza salveranno il mondo.
(Ivana Fornesi)