Brexit: alla ricerca di soluzioni che possano salvare la frittata

La sconfitta di Theresa May mette in crisi l’uscita dall’Unione Europea e tutto il Regno Unito

Il primo ministro britannico Theresa May
Il primo ministro britannico Theresa May

A detta di molti, se non tutti, i commentatori, la sconfitta del governo sulla vicenda Brexit è stata di una tale gravità e risonanza da poterla definire come la più grande mai registrata nella lunga storia della democrazia parlamentare nel Regno Unito.
L’accordo che il primo ministro Theresa May aveva firmato con l’Unione europea lo scorso novembre è stato cancellato dal voto contrario del Parlamento e non si vedono possibilità che lo stesso possa essere in qualche modo riportato in discussione.
Forse, a bocciatura avvenuta, può essere fin troppo facile “sparare sul pianista”, ma è indubbio che molti sono stati gli errori commessi, non solo da parte della May, da quando l’idea dell’uscita del Regno Unito dalla Ue ha cominciato ad essere qualcosa di più di una semplice aspirazione di qualche nostalgico dei fasti della regina Vittoria.
Che la Gran Bretagna (ed il resto dello Stato) sia un’isola non solo dal punto di vista fisico-geografico è un dato di fatto non ancora superato. Il passato coloniale ed imperiale hanno fatto crescere generazioni di inglesi convinti di essere al centro del mondo e del tutto autosufficienti, nonché autoreferenziali, non solo dal punto di vista politico ma, prima ancora, economico e finanziario.
L’ingresso stesso nella Comunità Europea avvenne in ritardo rispetto alla sua fondazione e con non poche opposizioni al progetto di unificazione.

Giugno 2016: esultano i sostenitori dell’uscita dalla UE per la vittoria nel referendum
Giugno 2016: esultano i sostenitori dell’uscita dalla UE per la vittoria nel referendum

Il referendum voluto da David Cameron, nel 2016, ha rimesso in discussione tutto questo e aperto la porta a tutte le divisioni già presenti nel Paese che, non dimentichiamolo, deve ancora fare i conti con la voglia di indipendenza o comunque di forte autonomia della Scozia, dell’Irlanda e, di recente, anched el Galles. Anche in terra di Albione, infatti, nazionalismi e populismi stanno trovando terreno fertile per crescere ed affermarsi.
A Theresa May si può senz’altro addebitare un modo di procedere verso lo scontro finale molto poco disponibile al compromesso. Ha finito per dimenticare che una metà del Paese voleva rimanere nell’Ue; non ha chiesto la collaborazione dei partiti nazionalisti scozzesi e gallesi, dei verdi e nemmeno quella dei laburisti più moderati che avrebbe potuto darle un amano al momento del voto in Parlamento.
Una scelta che ha finito per scontentare molti dei suoi stessi compagni di partito. Se, dopo il voto contrario all’accordo per una uscita “dolce” dalla Ue, la stessa Premier non è stata travolta in modo definitivo da un voto di sfiducia, lo si deve in gran parte alla consapevolezza, anche da parte degli avversari laburisti guidati da Jeremy Corbin, del fatto che una crisi di governo in questo momento sarebbe un vero e proprio salto nel buio, le cui conseguenze nessuno è in grado di valutare e tutti temono.
Il risultato, comunque, è che oggi in Parlamento non esiste una maggioranza su nessun tipo di accordo. Tante le strade aperte sull’immediato futuro. Si parla di un nuovo referendum: i Laburisti hanno presentato una mozione in tal senso, ma su eventuali accordi diversi con l’Ue e non sull’uscita o meno dalla stessa. Ma c’è anche chi, come lo stesso Corbin, vedrebbe di buon occhio il mantenimento di una specie di “mercato comune” con l’Europa senza barriere doganali.
C’è, infine, chi chiede alla May di presentarsi di nuovo in Parlamento con un “piano B”, ma questa appare di fatto la strada più improbabile. Si badi: improbabile ma non impossibile perché le acque sono talmente agitate che si può tranquillamente affermare che tutto potrebbe accadere all’ombra del Big Ben.
L’unica cosa un po’ più sicura è che una crisi di governo, che nel Regno Unito porta a elezioni anticipate, potrebbe costare molto cara ai Conservatori che, per questo motivo, in qualche modo continuano a sostenere il governo in carica. Altrettanto diffusa è l’opinione che l’uscita dall’Ue senza alcun accordo porterebbe ad un disastro economico e politico. Per questo si è all’affannosa ricerca di un modo per fermare, o per lo meno rallentare, la corsa avviata verso la data fatidica del prossimo 29 marzo.
Problema su problema: non si deve dimenticare che per il 23-24 maggio sono fissate le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e riesce difficile pensare che per quella data le cose possano non essere ancora sistemate.
Torna in mente un detto popolare: si riuscirà a trovare qualcuno o qualcosa in grado di aiutare a togliere le castagne dal fuoco? E ancora: non si sapeva che quando le castagne sono messe sul fuoco diventano roventi e perciò difficili da maneggiare?

Antonio Ricci