
Nel Castello del Piagnaro a Pontremoli è andata in scena la celebra tragedia di Sofocle: protagonisti giovani del Classico “Pellegrino Rossi” di Massa
Il dramma Antigone, pare sia stato rappresentato per la prima volta ad Atene nel 442 a.C. Questa millenaria distanza temporale, che ci riporta nel vivo della letteratura e del teatro del mondo antico, potrebbe essere giudicata un atteggiamento contraddittorio per una società, come la nostra, protesa verso il futuro, le scienze esatte e la tecnologia.
Tanti gli spunti di riflessione proposti!
Sabato 1 settembre, nello splendido scenario del Castello del Piagnaro di Pontremoli, la Compagnia teatrale composta da studenti ed ex studenti del Liceo Classico “Pellegrino Rossi” di Massa ha messo in scena, con la magistrale regia del professor Gennaro Di Leo e l’accompagnamento musicale del compositore Giuseppe Ioh Capozzolo, la tragedia “Antigone” di Sofocle. I giovani attori avevano già dato prova della loro bravura recitativa in precedenti rappresentazioni, al Castello Malaspina di Massa e alle Cave di marmo di Colonnata, riscuotendo un grande successo, pari, risalendo ad un paio di anni fa, a quello ottenuto con “Piccoli crimini coniugali” e con “Le Troiane” di Euripide, al teatro della Rosa di Pontremoli. Quelle occasioni vengono ricordate anche perché l’incasso era stato devoluto a scopi sociali. A tutte queste manifestazioni l’UCIIM ha offerto un puntuale e costante supporto organizzativo e promozionale, per Antigone con l’Amministrazione Comunale ed il Museo delle Statue stele. Particolarmente attive sono state le sezioni di Aulla e Pontremoli, che anche nel corso dell’ultimo anno scolastico si sono distinte per aver dato vita a convegni sulle più importanti ed attuali problematiche scolastiche, venendo incontro alle esigenze di aggiornamento e di formazione degli Insegnanti, quale è il compito istituzionale dell’associazione, come, del resto, quello di sostenere e valorizzare le iniziative culturali delle varie scuole, che ricadono a beneficio degli studenti e delle loro famiglie. Quanti spunti di riflessione vengono proposti! Quale grande spettacolo hanno offerto i giovani studenti-attori – oltre 50 – gli addetti alle luci, ai costumi, al commento musicale…! (a. f.)
L’interesse per quel mondo può essere motivato dal fatto che lì si ritrovano le radici della nostra civiltà o dal fatto che risveglia in molti il piacevole ricordo di studi e di formazione culturale su quelle pagine? Può essere, ma per Antigone, come in genere per le tragedie, è sicuramente più vero e opportuno parlare di affinità con tematiche universali che attraversano anche il nostro tempo.
La produzione tragica, infatti, che ha nel V secolo – in cui Atene, dopo il felice esito delle Guerre persiane, esercita il primato imperiale – la sua stagione più splendida, “affronta il problema dell’uomo e del suo destino nell’implacabile corso del tempo, ne denunzia gli errori, le colpe tragiche, ne mette a nudo le miserie, lo mette a confronto con un universo divino ora severo dispensatore di giustizia e ammaestramento, ora crudelmente e indecifrabilmente ostile…I destinatari delle tragedie sono i cittadini della polis, le cui istanze sono espresse dal coro…”.
E così il poeta tragico diventa un “maestro di verità per la sua comunità”. Diventa anche un politico, certo non legato alla contingenza di uomini o eventi, ma per il richiamo alle linee portanti della cultura della polis, che è fatta di istituzioni, di tradizione religiosa, di riflessione laica, di assemblee, di discussione, di consenso, di regole, di valori. In tutto questo anche l’uomo moderno si può ritrovare: “mi sembrava di sentire discutere di questioni di oggi: denaro, corruzione, rispetto delle leggi e della morale, gestione del potere…”, ha commentato uno spettatore.
Aiuta ad entrare nella trama della tragedia, ma anche nell’attualità, un passo del discorso di Pericle agli Ateniesi, tratto dalle “Storie” di Tucidide e riportato nell’ultimo numero della rivista “La Scuola e l’uomo”. È il 431 a.C. e così parla Pericle: “Ci è stato insegnato di rispettare i Magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritteche risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è di buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così”.
Interessante è il riferimento alle leggi scritte e leggi non scritte. È il tema della vicenda che Sofocle, in una Atene democratica, riprende da un mito tebano, e che è originata da una questione religiosa: il seppellimento di Polinice, morto nel duello fratricida per il potere in cui muore anche Eteocle, è un dovere sacro, una legge di natura che coincide con la volontà divina, ma è in contrasto con la legge degli uomini, con l’editto di Creonte. Antigone non intende obbedire al suo decreto, non emanato né da Zeus né da Diche. Difende le leggi non scritte, ma immutabili, eterne, degli dei, e si oppone a chi vuole suo fratello Polinice insepolto, perché considerato traditore della patria.
Da questo contrasto nasce lo sviluppo del dramma. Creonte è saldo nella sua decisione, ma è via via sempre più svuotato del suo potere e sarà troppo tardi, quando cercherà di disfare ciò che ha fatto di male – ragione di stato o solo tirannia crudele? – di fronte alla determinazione di Antigone, eroina del dovere religioso e morale, e all’ammonimento del figlio Emone a governare secondo ragione e giustizia, a fondare il suo potere sul consenso del popolo tebano – che è dalla parte di Antigone, ma non ha il coraggio di opporsi -, a non considerare lo stato come possesso personale.
Antigone pagherà a caro prezzo la sua fermezza e la sua coerenza, il coraggio della disobbedienza – lei donna in una società patriarcale – con cui riesce a realizzare il suo scopo, ricoprire di polvere il corpo di Polinice. La pietà la perderà. Piangerà la giovinezza perduta, le gioie della vita e dell’amore che le vengono tolte, non potendo vivere i sentimenti e le aspirazioni di donna, la cui “natura è di vivere l’amore, non l’odio”, dirà a Creonte.
Modello di virtù, intrisa di una nobiltà sovrumana, “conserva dell’umano i tratti più belli”. Viene da pensare alla definizione di pietà del Convivio di Dante, “… predisposizione d’animo, apparecchiata per ricevere amore”. Questo è mancato a Creonte, che sarà travolto, come padre e marito, ma anche come sovrano, dalla sua folle empietà, dalla violazione del divino, dall’aver ridotto l’autorità a puro esercizio del potere.
Andreino Fabiani