
Domenica 11 febbraio, V domenica del tempo ordinario
(Lv 13,1-2.45-46; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45)
La liturgia di domenica scorsa ci ha presentato Gesù che vede le miserie e le sofferenze degli uomini e cerca di alleviarle. Il Figlio però non si preoccupa solo delle sofferenze umane, ma cerca di far entrare l’uomo in relazione con quel Padre che annuncia e presenta.
Noi umani non riusciamo a comprendere pienamente il senso del male nel mondo. Ma nel Vangelo si delinea chiaramente un concetto: Dio non si compiace della sofferenza. Gesù dimostra sempre una grande compassione per gli ammalati che incontra. La malattia non è voluta da Dio. Lottare contro di essa significa mettersi dalla Sua parte.
Nel Levitico sono descritte le rigide regole da seguire nei confronti dei lebbrosi. La lebbra è un’infezione dall’aspetto davvero inquietante, la pelle e i tessuti sottostanti si consumano, e sembra che l’uomo si sfaldi. Per gli antichi ebrei era la palese dimostrazione che chi ne era colpito era un peccatore incallito. Perciò doveva essere scomunicato.
L’idea del sacro, prima del Vangelo, era gelida ed inesorabile. Il lebbroso doveva essere scacciato dall’accampamento, ed era tenuto a gridare “impuro, impuro” quando incontrava qualcuno. Se avesse contravvenuto a questa regola, sarebbe stato lapidato. Coloro che lo toccavano acquisivano la medesima impurità e dovevano sottostare alle stesse regole.
Sembrano cose d’altri tempi, da primitivi, ma, se ci pensiamo bene, nonostante Gesù Cristo ci abbia raccontato e dimostrato un Dio ben diverso, noi, ancora oggi, con subdola ipocrisia, vogliamo isolare chi riteniamo sia da escludere dalla società, e, in fondo, spesso pensiamo che un miserabile abbia colpa della sua miseria, e, in qualche modo, se la sia cercata. Anche noi, come gli antichi ebrei, ci arrocchiamo all’interno dell’accampamento.
Basta ricordare le scene isteriche che accompagnarono l’AIDS in tempi molto recenti. Dovremmo ricordare che il Maestro ci ha ordinato di non giudicare, di non misurare l’altro per i suoi comportamenti, ma di guardare alla sua dignità umana. L’altro è una persona amata da Dio. Solo se riusciremo a vederlo così, potremo essere testimoni credibili della fede che professiamo.
Il Figlio ha compassione del lebbroso che gli si avvicina, lo lascia avvicinare e sconvolge la logica del Levitico. “Se vuoi puoi purificarmi”, “Sì lo voglio, sii purificato”. E si compie il miracolo. La guarigione dalla lebbra sembra quasi secondaria, l’importante è che il malato torni ad essere una persona e venga reintegrato nella vita sociale, con la sua dignità.
Quando avviciniamo una persona dobbiamo prima di tutto accoglierla per quello che è, condividere i suoi dolori e le sue sofferenze, poi ascolteremo le sue domande. Il Maestro, dopo aver accolto il lebbroso, lo tocca, scandalizzando i pii ebrei presenti, apostoli compresi, e infine lo risana. Per seguirlo dobbiamo essere capaci di sconfiggere in noi l’egoismo, che ci impedisce di vedere le altrui fatiche e sofferenze, e ci trattiene dall’avvicinarci ai fratelli tribolati per farcene carico.
Pierantonio e Davide Furfori