
Trent’anni fa, il 23 febbraio 1988, un decreto della Congregazione per i Vescovi unì le diocesi di Pontremoli e di Apuania nella nuova diocesi di Massa Carrara – Pontremoli; fu un adeguamento non privo di dolore e di strascichi polemici che perseguiva l’obiettivo, auspicato dal Concordato del 1984, di unire il territorio provinciale in un’unica diocesi.
Un obiettivo arduo, in quanto si trattava di unire due Chiese locali territorialmente, storicamente e socialmente molto diverse: la Lunigiana, terra contadina fatta di piccoli borghi, molto più legata allo spezzino e al parmense che a Massa e alla Costa apuana, un’area urbanizzata e allora fortemente industrializzata.
Chi scrive al tempo aveva 5 anni e non ha ricordi personali, ma in questi anni tanti sono stati i racconti di chi visse quel passaggio, in particolare dei soci di Azione Cattolica delle due diocesi, che già nei mesi precedenti avevano intrapreso un percorso di unificazione, con incontri e momenti di conoscenza, con la consapevolezza che unire le due diocesi significava anzitutto unire le persone.
Era chiaro che lavorare per l’unità della diocesi di Massa Carrara – Pontremoli fosse un compito difficile perché si trattava di far camminare assieme modi di essere Chiesa, tradizioni e prassi ancora oggi diversi e di superare le paure di perdere prestigio, egoismi, personalismi, pregiudizi.
Sarebbe stato molto più facile continuare ognuno per la propria strada, mantenere nei fatti due Chiese diverse, ognuna con i propri obiettivi pastorali, con i propri percorsi umani e spirituali. Con una certezza: allora come in tutti gli anni successivi, avere lavorato per separare ha significato operare secondo la volontà del maligno.
Non ha molto senso valutare quanto l’unificazione della diocesi di Massa Carrara – Pontremoli sia riuscita: ci sono stati da parte di tutti – laici e clero – errori, miopie, mancanze, resistenze ma anche scelte, esperienze, percorsi illuminati dallo Spirito Santo. Molto più urgente appare guardare al presente, alla progressiva secolarizzazione, al calo delle vocazioni sacerdotali, alle vocazioni laicali non ancora sufficientemente valorizzate, ad una società che richiede tante energie per essere evangelizzata e ci obbliga a fare dinuovo, 30 anni dopo, percorsi e scelte unificanti, molte delle quali già sancite dal I Sinodo Diocesano del 2006.
Una di queste è il coordinamento di parrocchie limitrofe all’interno di Unità Pastorali. Perché una tale operazione sconta le stesse difficoltà e le stesse diffidenze incontrate nell’unificazione diocesana?
Perché come cristiani ci ostiniamo a pensare con la logica umana e non con la logica del Signore: ostacolare un percorso di unione tra le comunità parrocchiali significa continuare a ragionare come se la parrocchia, l’oratorio, i bambini che vengono al catechismo, l’organo e gli arredi che abbiamo in chiesa siano qualcosa di nostro, che possediamo, che ci teniamo stretti e che non vogliamo condividere con nessun altro.
La logica del Signore invece ci dovrebbe aiutare a comprendere che la conservazione dell’esistente, il “si è sempre fatto così” non serve a nulla se non è funzionale all’annuncio del Vangelo agli uomini e alle donne di oggi e all’edificazione di una vera comunità cristiana: una logica valida sia che si tratti di unificare due Diocesi, come nel 1988, sia che si tratti di creare una Unità Pastorale.
Marco Leorin
Presidente diocesano di Azione Cattolica