Previdenza e welfare state: meno ai padri, più ai figli?

lavoro_giovaniDa una ventina d’anni ogni volta che, come oggi, si mette mano alla previdenza, lo si fa asserendo la necessità, apparentemente nobile, di garantire prospettive e risorse ai giovani. Purtroppo, però, i risparmi di oggi nulla hanno a che fare con le pensioni di domani: l’assegno pensionistico delle giovani generazioni non dipenderà dall’età di pensionamento de gli attuali lavoratori, ma da quanti contributi ognuno avrà versato nella sua carriera.
I risparmi ottenuti innalzando oggi l’età pensionabile, spesso si sente dire, sono però indispensabili per finanziare programmi di welfare state più generosi per le giovani generazioni. Nessuna norma prevede che le risorse per le generazioni più giovani debbano essere reperite dalla previdenza.
Perché non trovare quelle risorse riducendo altri capitoli di spesa che non conoscono tagli, come gli armamenti, o combattendo seriamente per recuperare 110 miliardi di evasione fiscale? Perché non risparmiare su incentivi statali senza efficacia, come ad esempio quelli all’energia da fonti fossili?
Reperire o spendere risorse pubbliche dipende da scelte politiche capaci di cogliere le complessità di un sistema economico e sociale, senza cadere in slogan banali sull’egoismo di anziani protetti da un sindacato indifferente alle sorti delle giovani generazioni.
È più indifferente al destino dei giovani chi sostiene l’aumento dell’età pensionabile senza considerare, per esempio, il devastante calo di produttività che ciò determinerà sul sistema economico nel suo complesso.
La sirena del “meno ai padri, più ai figli” ipnotizza ancora, sebbene dei risparmi consistenti ottenuti dalle cinque riforme previdenziali susseguitesi dal 1992 ad oggi, nulla sia andato ai giovani: basta osservare, nello stesso periodo di tempo, i tagli su istruzione e ricerca, sui servizi alla famiglia e sui diritti sul lavoro, questi ultimi compressi da quattro riforme – anch’esse varate in nome del riscatto generazionale – che hanno reso precaria con l’occupazione anche l’esistenza stessa, spesso sussidiata proprio da quei “padri” a cui si vorrebbe sottrarre quel di più che si concretizza in trasferimenti di risparmi e lavoro di cura dei nipoti o dei propri coniugi malati.
Ammonire che la non accettazione di nuove strette previdenziali implichi l’egoistica negazione di un futuro per i giovani è dunque affermazione fallace, l’ennesimo goffo tentativo per cercare consenso tra le quelle generazioni sicuramente più permeabili a slogan individualisti ma anche – come già dimostrato dalle analisi del voto e del non voto degli ultimi anni – ben consce del tradimento operato nei loro confronti non dai propri genitori, ma da una politica che, per mancanza di orizzonti, ha ceduto ad un consunto progetto sociale liberista e individualista.

 Davide Tondani