
Le indagini su don Morini. Fughe di notizie e processi mediatici rischiano di destabilizzare la comunità. Se il sacerdote ha ingannato i suoi fedeli ne risponderà a Dio. I profili penali li accerteranno i magistrati
Gadda avrebbe detto: “È un brutto pasticciaccio”. Al centro del fatto ci sono: don Luca Morini, il vescovo Giovanni Santucci – suo malgrado – e le chiacchiere dei giornali. In questi giorni abbiamo assistito ad uno show mediatico per il quale si sono tratte conclusioni senza prima averne verificato le premesse, spacciando semplici congetture, magari frutto di un’opinione personale, per verità inconfutabili. Prima però di entrare nel merito della questione, ci chiediamo come siano giunti ai giornali nomi e cognomi, dati sensibili, importi, per costruire un puzzle contro la Chiesa locale. Durante la conferenza stampa organizzata dalla Procura sono stati fatti solo due nomi di persone indagate e poi, due giorni dopo, su un quotidiano locale si legge che gli indagati in realtà sono tre.
Chi ha interesse a creare “il caso” mediatico, a celebrare un processo a cielo aperto, a destabilizzare la comunità dei credenti? Domande legittime e per il momento senza risposta. In questa brutta storia, storia di bugie ed inganni, di falsificazioni e rimescolamenti di carte, ci sono due piani che vanno tenuti debitamente distinti: quello morale e quello penale.
La magistratura indaga sul penale: la sfera morale è giudicata dalla coscienza. Il “circo mediatico” tende a unire i due piani provocando e alimentando una reazione emotiva.
È una tecnica ben usata nello scontro politico: demonizzare l’avversario per ridurlo al silenzio.
Se un sacerdote si appropria di denaro in modo subdolo, appellandosi alla sensibilità dei fedeli con argomenti convincenti, e poi lo sperpera dandosi alla bella vita non è detto che sia penalmente perseguibile, ancorché il fatto risulti ripugnante dal punto di vista morale. Con questo non vogliamo difendere don Morini: se ha ingannato, come sembra, centinaia di fedeli, dovrà risponderne davanti a Dio e se quel denaro è stato estorto con minacce, oppure praticando la truffa, allora alla gravità morale si aggiunge un profilo penale che sarà acclarato dai giudici. La sua scelta di vivere il sacerdozio in quel modo è comunque raccapricciante da qualsiasi lato la si osservi e non potrà non portare a provvedimenti adeguati alla gravità delle azioni commesse, anche da parte della giustizia ecclesiastica.
Per quanto riguarda il Vescovo mons. Santucci, occorre fare un discorso a parte. Le ipotesi di reato sono due, e davvero marginali: appropriazione indebita e frode. L’appropriazione indebita è relativa a circa mille euro, ricavati dalla casse delle “Pie Fondazioni Legali” e che il Vescovo ha passato a don Morini.
Per la Procura si tratta appunto di “appropriazione indebita”. Ma chi è un pochino dentro alla gestione economica dei beni della Chiesa sa che le “Pie Fondazione Legali” sono fondi vincolati, i cui interessi, sono destinati, tra l’altro, proprio alla celebrazione di messe, soprattutto da parte di sacerdoti che non svolgono il ministero di parroco. E anche sulla frode, la posizione del Vescovo è chiarissima: la lettera firmata da mons. Santucci non è indirizzata alla compagnia assicurativa, bensì all’Istituto centrale per il sostentamento del clero e in essa si fa riferimento al caso del sacerdote.
Il comunicato della diocesi di Massa Carrara – Pontremoli
La Chiesa non celebra processi mediatici né alimenta una caccia all’uomo, colpevolizzando l’accusato prima ancora di averne accertato le responsabilità. Senza quindi voler entrare nei dettagli della linea difensiva, che sarà resa nota nella sede e nei tempi opportuni, riguardo ai capi di imputazione nei confronti di mons. Giovanni Santucci, vescovo di Massa Carrara – Pontremoli, si precisa quanto segue. In data 15 maggio 2015, prima ancora che il caso di don Luca Morini assurgesse agli onori della cronaca nazionale, il Vescovo aveva chiesto al sacerdote di non rientrare in parrocchia, per dare seguito a verifiche e approfondimenti circa la sua condotta. La volontà dell’istituzione ecclesiastica era, ed è stata, fin dal principio, di fare chiarezza, evitando ogni sorta di “copertura”. Tale decisione, in attesa della conclusione dell’indagine interna, esponeva, di fatto, il sacerdote don Morini ad una mancanza di sostegno economico e il Vescovo, a norma della legge canonica, ha dovuto provvederne al mantenimento anche perché il sacerdote lamentava condizioni economiche di bisogno; non era compito del Vescovo di verificarle, in ossequio al principio della doverosa assistenza pastorale. Inoltre, da maggio scorso, il conto corrente dello stesso sacerdote è stato congelato, provocando, di conseguenza, un intervento caritatevole temporaneo nei suoi confronti, dettato da una situazione di difficoltà oggettiva. Infine, sulle presunte “pressioni” alla compagnia assicurativa, di cui si accenna nel secondo capo di accusa, si tratta di un equivoco della Procura. Fin qui i fatti relativi a mons. Santucci. Per quanto riguarda gli addebiti che vengono contestati a don Luca Morini, il sacerdote chiarirà, nelle sedi opportune, la sua posizione.
Il “pasticciaccio” continua con il torbido che ogni giorno i giornali diffondono a piene mani e le fantasie che propinano in un gioco al rialzo che rasenta il ridicolo: ci dicono che l’appartamento, di proprietà della Diocesi, in cui risiede il sacerdote in questione è “una villa”, quando in realtà si tratta di un locale di 54mq. Sostengono, senza un briciolo di pudore, che mons. Santucci sarebbe stato ricattato ma la Procura ammette che non si sono trovati né dossier, né documenti, né foto che attestassero una tale realtà. Insomma, più i giorni passano e più sembra di assistere ad un film dai risvolti già visti, con tanto di copione recitato sempre allo stesso modo. In questo gioco al massacro, alla fine a rimetterci siamo tutti noi: se l’informazione si traduce in pettegolezzo da talk show, se invece che nelle sedi proprie i processi si celebrano sugli schermi e tra le colonne dei giornali, alla fine siamo tutti potenziali vittime di un gigantesco tritacarne mediatico che prima o poi potrebbe colpire chiunque.
Forse sarebbe il caso di fermarsi e spegnere per un momento i riflettori in attesa che la verità venga a galla. Per questo il “brutto pasticciaccio” non deve spegnere la forza della fede, né annebbiare la speranza, o soffocare la carità: ci chiama ad una responsabilità ancora maggiore che è quella di amare, nella verità, ancor più il corpo piagato della Chiesa!
Renato Bruschi