
Domenica 9 luglio, XIV del tempo ordinario
(Zc 9,9-10; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30)
Gesù elogia Giovanni il Battista, che ha preannunciato la sua venuta e lo ha battezzato, dando inizio alla sua predicazione. Ora Giovanni è in prigione, e presto sarà condannato e giustiziato per volere di re Erode, in un atto di ridicola prepotenza. Gesù spiega, che per quanto grandi si credano quelli come Erode, e per quanto essi considerino piccoli e insignificanti quelli come Giovanni, è a questi ultimi che Dio, “Signore del cielo e della terra”, ha rivelato la verità, non a loro: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. Anche oggi, in molti proclamano di “saperne di più” su Gesù e su Dio Padre, rispetto agli apostoli e ai loro eredi, la Chiesa Cattolica, con frasi come “Gesù non avrebbe certo voluto questo!” o “Perfino Gesù approverebbe!”.
Il guaio, in ragionamenti come questo, è che si finisce con il crearsi un Gesù “su misura”, chissà come mai approvante qualsiasi cosa il proclamante approvi, disapprovante tutto ciò che il proclamante disapprovi, i due comodamente mai in disaccordo. La Chiesa, composta da umani proni all’errore, non si è comunque mai permessa di alterare una virgola delle parole di Gesù, neanche quando esse smascheravano apertamente comportamenti sbagliati, tramandando sempre fedelmente il suo messaggio, che è di amore e speranza: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi[…] Prendete il mio giogo sopra di voi […] e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.
Oggi spesso sogniamo di “liberarci” dalle varie “catene” della nostra vita, come ci viene insegnato che dobbiamo fare per raggiungere la piena realizzazione di noi stessi: le catene dell’ansia per il futuro, del dolore, ma anche del lavoro, della responsabilità verso il prossimo, dell’empatia, di una qualsiasi autorità altrui, della vita stessa. E non ci rendiamo conto che, liberati da una, tutto quello che facciamo è trovarcene un’altra, magari ancora più gravosa. Non possiamo raggiungere la libertà assoluta che ci viene presentata come il bene supremo, perché comprenderebbe anche essere liberi da noi stessi e dall’esistere. Quello che possiamo fare è scegliere a quale giogo sottostare. E tra tutti i padroni, compreso il nostro ego, nessuno è migliore del pastore “mite e umile di cuore” che si è sacrificato per le sue pecore.
Davide Furfori