
Domenica 11 giugno – Santissima Trinità
(Es 34,4-6.8-9; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18)
Una notte, si presenta a Gesù uno dei capi dei farisei, Nicodemo. È un uomo molto in vista in Israele. È un autorevole membro del sinedrio, il “senato” di settanta persone che governava religiosamente e politicamente il paese. Va a fare visita a Gesù di notte, forse per paura, e professa la sua fede in lui, convertito dai suoi miracoli. Gesù però gli spiega che non è venuto su questa terra per compiere prodigi, ma per ricordare al mondo l’amore di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
Questo passo è considerato, a ragione, il sunto di tutto il racconto evangelico, una frase che racchiude in sé tutta la storia della salvezza. Nicodemo, e con lui molti altri allora e oggi, vedono nella venuta di Gesù il segno di una crisi. Molti contemporanei di Nicodemo vedono in Gesù il Messia che scaccerà i Romani e ristabilirà Israele in una gloriosa battaglia. I nostri contemporanei invece ci vedono comunque l’araldo di una qualche “resa dei conti” a livello mondiale, giunto per salvare chi lo merita e condannare tutti gli altri.
Ed è Gesù stesso a smentire questa visione: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Gesù non è giudice di nessuno: è qui per dimostrare, con parole e gesti, l’amore di Dio per ogni suo figlio. Dio è amore in azione, che si esprime nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e ci insegna la relazione con Lui e con gli altri uomini, perché senza relazioni non possiamo vivere. C’è una Parola da comprendere ed amare insieme, a cui ciascuna generazione, da moltissimi anni, ha fatto riferimento. C’è un futuro, da attendere insieme. Ma soprattutto c’è un presente, intessuto di relazioni profonde con le persone, coi popoli e con le culture. Ogni ferita che noi infliggiamo a queste relazioni è un impedimento alla nostra crescita, e non rispetta il volere di Dio. Riconoscere che Dio è uno e molteplice vuol dire riconoscere che c’è Lui nella storia, da accogliere attraverso la molteplicità delle relazioni, nel rispetto pieno delle sue manifestazioni, anche attraverso altre culture e religioni. Oggi si sente forte il bisogno di passare giudizio, di condannare questa o quella persona, questa o quella cultura, questo o quel popolo, anche solo per sentirci in pace con noi stessi, gratificati nella consapevolezza di essere “migliori”, agli occhi di Dio o agli occhi del mondo e della storia, se in Dio non si crede.
Ma Gesù non opera secondo il metro degli esseri umani, fallace e pronto ad essere comunque distorto da chiunque abbia il potere di distorcerlo secondo i propri interessi. Gesù è venuto qui per salvarci tutti, che noi siamo convinti di meritarlo o meno. Detto questo, Gesù aggiunge anche: “Chi crede […] non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”, e non da Dio o dagli altri uomini, ma da se stesso. Gesù ci lascia sempre liberi di scegliere, possiamo fidarci di lui e lasciarci salvare, oppure trincerarci nel nostro orgoglio e nelle nostre illusioni, convinti di non aver bisogno di essere salvati da nessuno, e restare nella nostra dolorosa ma deliberata lontananza da Dio. Il Figlio non fa altro che aprirci la via, sta a noi scegliere di percorrerla.
Pierantonio e Davide Furfori