Renzi vince e si prepara per tornare a Palazzo Chigi

Nonostante le contestazioni sui dati finali delle primarie del PD di domenica scorsa, 30 aprile.
Si sono espressi 1,8 milioni di persone: Renzi vince in modo netto con il 70% dei voti, Orlando arriva al 20%, Emiliano sfiora il 10. In calo l’affluenza nelle regioni “rosse”

renziI dati finali delle primarie del PD non sono ancora certi, ma la discussione sull’affluenza (1.850.000 per gli organizzatori, fino a 200mila in meno per Orlando) e sulle percentuali ottenute dai tre candidati (70% Renzi, 20 Orlando, 10 Emiliano quelli ufficiali; 65% o poco più Renzi, 22-23% Orlando, secondo quest’ultimo) può interessare solo i contendenti e i loro sostenitori, in vista di eventuali cambiali da presentare in futuro.
La realtà non muta ed è quella che era già ampiamente preannunciata alla vigilia del voto: Renzi ha vinto in modo netto, Orlando ed Emiliano vedono, comunque, un po’ di sole. Il primo dato non può sorprendere, dopo l’uscita dal PD dei più fieri oppositori di Renzi.
Una fuoriuscita non indolore per il vistoso calo di affluenza che si è verificato nelle regioni rosse storiche. In Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria, nelle Marche il calo dei votanti si conta in centinaia di migliaia e il calo si estende, sia pure in maniera meno pesante, anche al Nord. Solo in alcune regioni del Sud i voti aumentano: però la contropartita è che lì Renzi vince (tranne che in Calabria: “effetto Emiliano”), ma con percentuali inferiori alla media nazionale.
L’effetto “dimagrimento” si riscontra anche per categorie e dovrebbe far riflettere: a disertare le primarie 2017 sarebbero stati in numeri consistenti giovani e disoccupati. Quest’ultimo dato, se vero, non può tranquillizzare nessuno: non Renzi, che non può dirsi contento di una perdita di consenso tra quelle categorie, ma nemmeno Bersani e compagni perché nessuno può garantire che quei voti passino a loro e non ad aree più radicali come i 5 Stelle.
Quello che appare evidente è che Renzi, una volta dimostrato di avere in mano il partito, si trova ad affrontare un nuovo esame di maturità. Da qui alle prossime elezioni politiche – autunno 2017 o primavera 2018 – non potrà accampare nessuna scusante per eventuali flop. Sarà lui a gestire il “suo” partito, cercando magari di non dare un significato troppo letterale a quell’aggettivo possessivo. Può essere vero che lacci e lacciuoli diano fastidio ed limitino la dovuta libertà di azione a un leader, ma il confronto è l’essenza stessa della politica e da esso non si può fuggire continuamente. Così come sarà lui a doversi confrontare con le altre forze politiche, sia nel breve, per varare i provvedimenti di cui il Paese ha bisogno e che possono ancora essere realizzati, visti i tempi ristretti: la legge elettorale potrebbe essere uno di questi.
Tra tutte queste prospettive strategiche, Renzi non può perdere di vista il problema di fondo: cosa vuol fare da grande. In termini più seri: su quale strada avviare un partito che, almeno in gran parte dei suoi componenti, si ritrova, ora, su posizioni centriste. In poche parole, il tema delle possibili alleanze, specie se si dovesse confermare la tendenza al sistema proporzionale.
Certo, sarebbe un errore pronunciare un “mai” netto e, soprattutto, a priori, nei confronti degli ex compagni di partito. Ma un errore ancora più grave sarebbe quello di guardare verso destra, magari contando su di un sostegno disinteressato di Berlusconi in persona o di ciò che resta della sua parte politica. C’è senz’altro tanta demagogia nelle affermazioni di chi chiede politiche di sinistra, ma è fuori discussione che il Paese abbia bisogno di scelte che vadano ad aiutare, prima di tutti, coloro che dalla crisi sono stati posti ai margini dei processi economici e questo non può essere fatto con politiche che tendano alla conservazione dei privilegi.