La legge elettorale è il nodo da sciogliere

La politica già concentrata sulle elezioni del 2018.
Il sistema è condizionato dai veti incrociati fra i partiti, che sembrano essere inadeguati ad assicurare un governo stabile e determinato

Montecitorio_Camera_DeputatiFra i tanti argomenti che sono oggetto di dibattito quotidiano e che appartengono in senso stretto al confronto politico, due sono quelli che vengono più sottolineati: le elezioni amministrative e la nuova legge elettorale.
Il primo riguarda le imminenti elezioni dell’11 giugno, con il possibile ballottaggio del 25, in cui sono coinvolti oltre 9 milioni di cittadini e che confermano come il tripolarismo all’italiana abbia attecchito anche negli schieramenti e nelle alleanze per il voto che porta all’elezione diretta dei sindaci con una procedura che comunque funziona. Il secondo ha per tema il dibattito che si sta facendo sempre più acceso intorno alla legge elettorale con un percorso tortuoso e dagli esiti alquanto incerti che rischiano di portarci ad una situazione di ingovernabilità.
A volerla dire con tutta franchezza, il nostro Paese è trascinato, ormai da troppo tempo, in una campagna elettorale permanente, che è iniziata nell’autunno scorso, finalizzata a politicizzare il referendum costituzionale del 4 dicembre, e che non si è più fermata. Appare evidente come tutto il sistema politico sia condizionato dai veti incrociati fra i partiti, i quali danno l’impressione di essere inadeguati ad assicurare al Paese un governo stabile e determinato nell’affrontare e risolvere le emergenze che tutti ci troviamo di fronte. Affiora ancora una volta una debolezza della politica che appare irrimediabile, in cui si fa spazio un modo di agire che rischia di farsi sempre più pericoloso, con la prospettiva delle elezioni anticipate mai del tutto fugata, e dagli esiti incerti.

Matteo Renzi
Matteo Renzi

Sarebbe, invece, indispensabile approvare una nuova legge comune ai due rami del Parlamento che, tanto più dopo la bocciatura dell’Italicum, dovrebbe avvicinarsi ai modelli in vigore nelle collaudate democrazie europee.
Se quello inglese, completamente maggioritario in senso stretto, ma efficace dal punto di vista della governabilità, appare troppo rivoluzionario e poco in sintonia con il nostro modo di pensare, si adotti quello francese (collegio uninominale e successivo ballottaggio), che funziona con buoni risultati, o quello tedesco che in presenza della “sfiducia costruttiva” garantisce una quota di parlamentari eletti con sistema proporzionale e sbarramento, ma anche stabilità di governo.

Al momento non ci è dato capire quale, tra le forze politiche, sia determinata a battersi per uno dei tre sistemi europei. Partiti e partitini mostrano, piuttosto, nostalgia per un ritorno al sistema proporzionale, anticamera della ingovernabilità, dei ricatti, delle maggioranze perennemente a rischio di “imboscate” parlamentari. Fino ad oggi nessuno ha voluto veramente sedersi ad un tavolo per cominciare concretamente a discutere. Il PD renziano, ancora partito di maggioranza, pensa al “Mattarellum bis, corretto”: un misto di uninominale e proporzionale che però non soddisfa le esigenze del Movimento 5 Stelle e di Forza Italia, anche se non dispiacerebbe alla Lega di Salvini.
Ma come si può immaginare di approvare una legge elettorale senza il consenso decisivo del partito di maggioranza? Lo sa bene Matteo Renzi che, dopo la quasi scomparsa dei socialisti in Francia e le due sonore sconfitte dei socialdemocratici nelle elezioni regionali in Germania, punta a fare dei Democratici italiani “l’unica forza di sinistra” capace ancora di governare.
Che ci riesca non dipende solo da lui né da quel suo modo di fare che lo ha in passato penalizzato; certo è che per poter prendere il 41% dei consensi, come lui stesso pensa, il neoeletto segretario del PD non potrà più andare da solo, avrà bisogno di alleati, avendo ancora molto da lavorare per far risalire il Partito democratico nel gradimento degli elettori.

Pierangelo Coltelli