Dall’Egitto alla Corea Escalation di violenza tra attentati e attacchi chimici e missilistici
È un esercizio difficile provare a distinguere tra di loro le tante notizie di morti causate da attentati o da guerra più o meno dichiarate. Lo è perché esse si accavallano, dando l’idea di un mondo che sta perdendo, se già non ha perso, la capacità di risolvere i contrasti con la ragionevolezza e il dialogo. Ci stiamo, forse, risvegliando dal sogno di una condizione di pace “ufficiale” (non per tutti i Paesi né per tutti i popoli) che dura ormai da lungo tempo, come mai si era verificato, almeno negli ultimi secoli. Lo stillicidio degli attentati di questi ultimi tempi ricorda un po’ il periodo degli anni ’70 dello scorso secolo in Italia, quando sembrava che terroristi neri e rossi facessero a gara ad accaparrarsi le prime pagine dei quotidiani.
Anche in questi giorni le aperture di giornali e televisioni di tutto il mondo sono dedicate alle uccisioni di persone innocenti.
A Stoccolma, l’attentatore si è servito di un camion per falciare un gruppo di persone che camminavano nel centro cittadino, finendo, poi, per schiantarsi dentro un centro commerciale. Il bilancio è stato di quattro morti e 15 feriti. La polizia ha arrestato un uzbeko di 39 anni che avrebbe espresso sostegno all’Isis. Ancora più odiosi, se possibile, gli attentati di domenica scorsa in Egitto.
Ad Alessandria un attentatore suicida ha fatto esplodere un ordigno fuori dalla chiesa di San Marco, dove poco prima il papa della Chiesa ortodossa Copta, Tawadros II, aveva partecipato alle celebrazioni per la Domenica delle Palme. Il primo bilancio parlava di almeno diciotto morti e numerosi feriti; tra le vittime un comandante delle forze di sicurezza, rimasto ucciso nel tentativo di fermare il kamikaze. Ancora maggiore il numero di vittime (una trentina morti e 78 feriti) per l’esplosione avvenuta nella chiesa di San Giorgio a Tanta, a nord del Cairo, affollata di almeno 2mila fedeli.
Entrambi gli attentati sono stati rivendicati dall’Isis. Dalle parole è passato ai fatti anche il presidente Usa Donald Trump. La settimana scorsa l’esercito americano ha, infatti lanciato 59 missili Tomahawk contro una base aerea siriana, da dove sarebbe stato lanciato l’attacco chimico contro la cittadina di Khan Sheikhoun.
A prescindere dai risultati ottenuti, l’azione militare ha creato forti fibrillazioni negli instabili equilibri dei rapporti tra Usa e Russia, mettendo in allarme anche Cina e Corea del Nord.
Quello che contribuisce ad aumentare la preoccupazione in tutto questo bailamme è l’atteggiamento dell’Europa che sembra smarrita, incapace non solo di esprimere una posizione condivisa (da tempo, da più parti si denuncia la mancanza di una politica estera comunitaria) ma di esprimerne una credibile ed autorevole tout court. Ecco allora che, anche se il periodo pasquale indurrebbe a pensieri di pace, il timore che da gesti di violenza limitati si possa passare a qualcosa di più notevole, sia dal punto di vista dei territori coinvolti che dal quello del numero e delle dimensioni delle armi impiegate, non è poi così assurdo né esagerato.
Da qui la necessità che dialogo e diplomazia tornino ad essere i punti di riferimento delle relazioni internazionali. Violenza chiama violenza e se, alla fine, anche nel conflitto più cruento un vincitore emerge sempre, ciò non significa che la vittoria non sia pagata duramente quanto la sconfitta; al punto che, al di là del valore politico di questi due estremi, in termini di perdita di vite umane può riuscire difficile apprezzare la prima rispetto alla seconda.
Confermato il viaggio del Papa
Non è di certo la prima volta che i cristiani del nord Africa subiscono violenze a causa della loro fede. Accadde in occasione della prima espansione del Cristianesimo e continua ad accadere ancora ai nostri giorni. La Chiesa copta è una di quelle più colpite, se è vero che in questi ultimi anni ha dovuto subire più di quaranta attentati nel solo Egitto, dove questa piccola comunità rappresenta il 10% della popolazione. Ad essi, incontrando il patriarca copto Tawadros II, ha portato i saluti, il conforto e le preghiere di tutta la Chiesa cattolica una delegazione vaticana guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Ci penserà papa Francesco a tenere desta l’attenzione su questa grave situazione, che rischia di cadere nel dimenticatoio, una volta passate le inefficaci e scontate condanne internazionali. Tra diciannove giorni, infatti, (il 28 e 29 aprile) Francesco sarà in Egitto. Nonostante gli attentati, quindi, il Papa non rinuncia a portare conforto e testimonianza e sceglie di unire alle parole di preghiera la vicinanza concreta e la condivisione della sofferenza. Scivolano un po’ in secondo piano i pur validi obiettivi del viaggio: la Conferenza internazionale sulla pace e l’incontro con il grande imam di al-Azhar. A questo punto la presenza di Francesco in Egitto, ha sottolineato il card. Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, “serve soprattutto a riaffermare che senza fratellanza, dialogo, riconciliazione tra gli uomini appartenenti alle diverse religioni sarà molto difficile costruire un’umanità nuova fatta di rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti. In tal senso il Papa vuole ribadire che, nonostante gli attentati, è possibile creare un mondo nuovo nel rispetto della persona umana”.
Antonio Ricci