Rapporto Istat 2016: continua il calo di nascite in Italia

Secondo Istat, mai così pochi nuovi italiani come nell’anno passato.
I nati sono 474.000, il numero più basso dall’Unità d’Italia. Saldo nascite-decessi: -134.000; è diminuita anche la popolazione: 60.579.000 (compresi 5 milioni di stranieri: gli stessi del 2015)

infografica_ISTAT_pop2016Gli indicatori demografici nazionali 2016, diffusi in questi giorni da Istat, sono impietosi. Presentano un’Italia in grave crisi demografica per la quale, se non ci sarà a breve un’inversione di tendenza, sarà difficile guardare con fiducia al futuro.
È aumentata la speranza di vita: nell’ultimo anno l’età media è salita di due mesi, arrivando a 44 anni e 9 mesi; le persone oltre i 65 anni sono il 22,3% (13 milioni e mezzo), quelle oltre gli 80 oltrepassano i 4 milioni (6,8%), 727.000 hanno più di novant’anni, 17.000 sono gli ultracentenari. Ma è l’unico dato positivo e perciò preoccupante, viste le implicazioni sul piano dell’equilibrio sociale. Tutti gli altri indicatori sono negativi. I nati sono 474.000, il numero di nascite più basso dall’Unità d’Italia.
Il saldo nascite-decessi vede un meno 134.000 ed è diminuita anche la popolazione residente: 60 milioni e 579.000 (compresi gli oltre 5 milioni di stranieri: gli stessi del 2015) con un saldo negativo di 86.000. Neppure negli anni bui delle due guerre mondiali la natalità era stata così bassa pur con una popolazione estremamente inferiore.
Nel 1818 si erano avute 676.00 nascite, 821.000 nel 1945: i picchi sensibilmente più bassi fino agli anni ’70, quando è iniziato il declino. C’è chi imputa il calo demografico alla crisi economica, ma questo non è l’unico fattore. Negli anni ’70 e ’80 la crisi economica non era all’ordine del giorno, eppure la natalità passò dalle 917.000 unità del 1970 alle 657.000 del 1980 alle 581.000 nel 1990.
La crisi perciò non è solo economica, è anche culturale. Quegli anni furono gli anni dei referendum, prima sul divorzio, nel 1974, poi sull’aborto nel 1978, con relativi referendum. Malgrado quest’ultima legge si intitolasse “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, poco si fece per la tutela della maternità e molto sulla “valorizzazione” dell’aborto, svalutando di fatto il significato di maternità e di natalità.
Naturalmente non sono questi gli unici dati negativi, già di per sé gravi. Finora gli stranieri avevano compensato le carenze delle coppie italiane ma ora anch’essi si stanno allineando. La fecondità per donna in Italia è 1,34 (1,27 le italiane, 1,95 le straniere) e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è salita a 31,7 anni. Un altro dato importante è quello della migrazione interna, in gran parte dal Sud verso il Nord, che ha superato 1.300.000 unità (+3,7% rispetto al 2015).
Come è indicativo il numero di italiani che migrano all’estero: 157.000, anch’esso in aumento rispetto al passato. Le prospettive non sono buone. Già oggi la fascia di età più numerosa è quella dei 40-60enni. Nei prossimi anni, l’allungamento della vita è destinato a trasformare il paese in un Paese di vecchi, con la popolazione attiva che va sempre più restringendosi.
Malgrado le difficoltà economiche, è necessario cominciare ad avere politiche di largo respiro sulla famiglia. L’Italia ha 9,3 nascite ogni mille abitanti, la vicina Francia ne ha 12,7. Ma in Francia da tempo si sono fatte politiche serie a favore della famiglia e della vita. Si era nel 1995, prima del trattato di Dayton in Bosnia. Si era in piena guerra civile. Molte donne erano in evidente attesa. Nel centro Caritas una di esse di fronte alla domanda: “Come fate a metter al mondo figli in questa situazione?” aveva risposto: “Questa, indicando la pancia, è la nostra speranza”. Un mondo senza figli è un mondo triste e senza speranza.

Giovanni Barbieri