Immigrazione: la rivolta nel Cpa di Cona (Ve)
La rivolta che è scoppiata nella notte al centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, dimostra come le realtà che accolgono grandi numeri di migranti rischiano di diventare “luoghi ingestibili e quindi esplosivi” e sono pertanto un campanello di allarme per un cambiamento di rotta.
Ripete un discorso più volte fatto monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, a poche ore dallo scoppio, nella notte di lunedì, di una rivolta in un centro di accoglienza straordinaria nel veneziano, in seguito alla morte all’interno della struttura di un’ivoriana di 25 anni. “È evidente – dice Perego – l’esasperazione da parte degli ospiti del centro che ha portato a un gesto sicuramente da condannare, ma che ha dei fondamenti non di poco conto a cui si è aggiunto, come elemento scatenante, il fatto che solo dopo 5 ore è arrivata l’ambulanza per la donna che si trovava in una situazione di pericolo di vita. Si tratta quindi di una inadempienza grave”. “Occorre ripetere, come diciamo da diverso tempo, che i centri di accoglienza straordinaria (Cas) non vengano affidati a realtà senza esperienza e che ci sia un controllo sulla gestione”.
Dello stesso tono sono anche le dichiarazioni rilasciate ad Agenzia Sir da Oliviero Forti, responsabile dell’area nazionale di Caritas italiana e da p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro dei gesuiti per i rifugiati “Astalli”. Forti non perde l’occasione per rinnovare l’appello a tutti i comuni italiani perché “aderiscano numerosi” al piano del governo varato circa un mese fa. Inoltre, invita a “non strumentalizzare la vicenda per farla diventare occasione di ulteriore discriminazione nei confronti dei migranti: è un problema che va analizzato, non cavalcato”.
La lunga e collaudata esperienza della Caritas nell’accoglienza (insieme all’Arci sono i due enti gestori con i più alti numeri) dimostra che la modalità dei piccoli centri sparsi sul territorio funziona. “La fase di emergenza – spiega p. Ripamonti – deve durare pochissimo e va supportata da una buona organizzazione della rete di accoglienza, restituendo così dignità ai migranti accolti e agli operatori che li assistono”. Padre Ripamonti conclude ricordando che la legge Bossi Fini, attualmente in vigore, ha 15 anni di vita, e fu scritta “in un momento in cui le migrazioni in Italia erano profondamente diverse da quelle attuali. Guardare al passato senza l’urgenza di una rilettura e di un radicale rinnovamento delle politiche migratorie nazionali – sottolinea – non può portare ad alcun progresso”.