Note storiche su un borgo antico al centro delle dispute tra Parma e Piacenza intrigate con Pontremoli e i Malaspina
I ruderi della torre del castello di Grondola
Un diploma di Federico I, il Barbarossa, del 1164 inviato a Obizzo Malaspina cita il castrum cum tota curia sulla costa di Bassone di fronte a Vignola; non vi è citata Grondola, che poteva però essere una delle fortificazioni del castrum, ma compare Hena, Valdena, i cui signori erano da sempre legati ai Malaspina per motivi di parentela o di vassallaggio.
Valdena controlla l’ingresso alle due vie del Borgallo e del Brattello, questa diventa importante, forse perché la via del Borgallo perde ruolo strategico e si intensifica forse all’improvviso il ruolo di Grondola, un sito da cui si può controllare il Brattello, scendere a Succisa e poi salire alla Cisa, oppure entrare nella valle del Verde: il castrum era munito da torri, fortificazioni, steccati, fossati, argini.
Dal 1141 il Comune di Piacenza, per favorire la circolazione delle proprie merci, soprattutto dei fustagni, fa accordi più o meno forzosi coi Malaspina in Valtaro alleandosi spesso con Pontremoli, i cui confini il Barbarossa fissò “dalle due Caprie sino ai monti” con concessione di regalie e diritti di pedaggio sulla Francigena. La pressione di Piacenza si rinforza, i Malaspina le cedono nel 1189 i propri beni in Valtaro, Grondola non è citata, forse era già in mano ai pontremolesi. Gli accordi sono però molto precari, Grondola torna ai Malaspina in urto con Piacenza e Pontremoli.
La pace del 1191 ricongiunge Grondola a Pontremoli e sono riconfermati i rapporti precedenti. I Malaspina fanno pace, firmata a Piacenza nel 1194, alla presenza dei vescovi di Bobbio e Piacenza, da Moroello Malaspina e il figlio Guglielmo, i quali si impegnano a rimettere i danni e concedere il transito nei loro territori, non far guerra, distruggere Petracorva e Grondola e non far entrare nemici di Piacenza e Pontremoli; cedono tutti i podi grondolesi ai piacentini con divieto di ricostruirli. Grondola è governata da Enrico di Montecucco; la cessione riconfermata nel 1198 dà a Piacenza libero passo per il mare.
A Grondola importante fu la famiglia Filippi. Nel 1171 è citato un Philippus de Pontremulo e un Filippo fu console di Pontremoli nel 1183, ancora un Philippo de Pontremulo è vassallo dei Malaspina nell’atto col vescovo di Luni del 1202 in cui si decidono i rapporti per le terre ex-estensi. Anche nella divisione fra i Malaspina del 1221 sono citati i Filippi che devono prendere il borghesatico a Pontremoli e diventano i maggiori esponenti della fazione ghibellina.
Le rivalità tra i Comuni di Piacenza e Parma si riflettono sul prevalere della via del Brattello in favore di Piacenza e invece di quella della Cisa quando egemone è Parma. L’imperatore Federico II di Svevia si impadronì di Grondola nel 1241 provocando la protesta di Parma che ottenne la cessione di “Grondola cum curia” in perpetuo ai parmigiani. Il figlio re Enzo con aiuto dei pontremolesi contro piacentini e Malaspina, dona Grondola alla Camera imperiale nel 1248. Nel 1271 è ricostruito il castello e nel 1273 la torre di Grondola da Pontremoli e Parma ormai alleate stabili, nonostante il divieto di ricostruzione sancito dagli Statuti di Pontremoli (ristampa del 1391), emendato con una multa.
Ormai via dominante dei transiti è la via Francigena, dove passano re, imperatori, papi, mercanti, eserciti e pellegrini; di Grondola si perdono le notizie e la via del Brattello e del Borgallo scadono a vie di transito locale.
Le vie del Borgallo e del Brattello
Il castello di Grondola in una foto degli anni Cinquanta del Novecento
Nel racconto storico Grondola nasce verso la fine del sec. XII sulla via del Brattello che a Pontremoli si congiunge con quella che scende dal passo del Borgallo. Negli studi di Manfredo Giuliani si ricorda il prevalere della via del Borgallo fin dalla preistoria. I recenti ritrovamenti di Angelo Ghiretti attestano in essa 12 siti del Mesolitico e, sulla scorta di quelli di Osvaldo Baffico, indicano una frequentazione diretta verso il mare di genti provenienti dal Nord o forse dalla zona alpina. Sono i Liguri i primi abitanti di questa zona appenninica di cui abbiamo notizia, probabilmente gli Apuani, collegati ai Friniati e ai Veleiati attestati nella pianura parmense e piacentina. Vennero poi i secoli della dominazione romana e sull’area di questi crinali si costituirono diverse curtes derivanti da villae romanae. Subentrarono i bizantini, vincitori sugli Ostrogoti nella guerra dal 536 al 553, questi però restarono a difesa delle loro fortificazioni e ne lasciano tracce nella toponomastica delle due vallate contigue. Qui si insediarono poi i Longobardi e la valle del Brattello presenta quattro toponimi a loro riconducibili: Brattello con Bratto (“campo incolto”), Braia e Grondola (“campo esteso, coltivato”), forse a testimoniare un’occupazione della vallata del Verdesina proveniente dalla Cisa. Le due vallate, legate al bizantino castrum di Sorano, passarono verso il 740 sotto il gastaldato longobardo di Filattiera e, dopo la rifondazione dell’impero con i Franchi carolingi e poi con le dinastie germaniche, nel 930 entrano a far parte della diocesi di Luni. Non è facile ricostruire le vicende successive, forse dalla fine del sec. X, passarono agli eredi obertenghi, i Malaspina in particolare, venuti a gestire la parte beneficiaria dell’abbazia di Bobbio e possessi legati alla Marca di Tuscia come Albareto o l’abbazia di S. Caprasio di Aulla ereditata da Almerico.