Anniversari: quindici anni fa moriva il poeta villafranchese (1923-2002)
Da 15 anni è scomparso Dino Ghini, a cui essere grati per la testimonianza di modestia, di dignità, di nobiltà che ha lasciato, soprattutto alla sua amatissima Lunigiana, questo cultore del silenzio, dei moti segreti del cuore, dello sguardo che vede al di là delle cose, così la cugina suora Emanuela Ghini conclude la prefazione alla raccolta di poesie Precaria è la terra, edita postuma a cura delle Associazioni Manfredo Giuliani e Vasco Bianchi col supporto del Corriere Apuano e stampa della Provincia. L’editorialista dell’Osservatore Romano, scrittrice e biblista Emanuela, che per Dino è stata nutrice di spiritualità, vede nella scoperta della vita in Lunigiana un filo rosso che si incontra nelle raccolte Il gioco degli specchi, Parole a Pontremoli, Uomo è il mio nome, L’ora di Pan, Precaria è la terra.
La terra fa risuonare voci lontane, il sorriso della madre increspa il cuore, è il percorso di una vita tesa ad un oltre irraggiungibile, vissuta in un “paese dell’anima”. La tensione verso la realtà profonda e intima porta a cercare il silenzio della parola, la consapevolezza del dolore, la quiete interiore, spazi “ove il cuore s’ascolta con pause d’abisso”.
Tutta la storia che ci portiamo dentro cerca un approdo, la poesia è la via verso una meta, Dino la fa trasparire più che esprimerla, la precarietà della terra si coniuga col cammino verso l’infinito, un passo accompagnato da presenze care che infrangono i muri eretti dalla morte.
Una delle ultime poesie, Pasqua a Capo Corvo coglie, quasi sintesi di una vita, il senso della redenzione cristiana: è la pace maestosa del Crocifisso nero, ligneo, bizantino dell’eremo di S. Croce a Bocca di Magra: senza chiodi e senza piaga sul costato “tutto accoglieva nelle immense braccia/il mondo e l’universo alfin redenti”. È il Gesù giovanneo per il quale la croce è approdo alla gloria.
Nell’arco di molti anni sono nate poesie germogliate dopo lunga e misteriosa gestazione interiore, hanno il travaglio ungarettiano di una ricerca della parola essenziale che “balbetti” e sparga qualche barlume di verità. Dino si riconosce un “ermetico un po’ fuori dal tempo”, sapeva che solo con l’umiltà della mente e del cuore ci si può approssimare al profondo delle cose e del dolore.
Fedele alle amicizie, col forte bisogno di dare senso al suo essere creatura che ama e mai è sazia di interrogarsi e di donarsi. Da uno scritto inedito troviamo confermato che la sua formazione culturale è stata permanente, in consonanza con quasi l’intero universo della poesia moderna italiana ed europea, senza dimenticare i classici perché poeta è chi legge poeti; discusse un’accurata tesi di laurea su Il cigno di Baudelaire.
Dino Ghini (1923-2002) di padre bolognese e madre una Busticchi di Villafranca dove è nato, ha vissuto anni a Pontremoli nelle case ferrovieri a S. Pietro. Diplomato al Malaspina, laureato a Genova in Lingue e letterature straniere, stimato educatore, cultore raffinato di studi, custode di memorie storiche e scopritore di statue-stele, parte attiva nelle Associazioni culturali, per decenni collaboratore del Corriere Apuano, impegnato in organi amministrativi.
Le poesie di Dino Ghini non sono frammenti intimistici, respirano largo, seguono una poetica “alta” che non può esimersi da un lavoro insistito sulla parola della poesia, che è forma, è ritmo, è canto, metrica, canoni stilistici, rime interne, assonanze e consonanze, variazioni musicali, col dono di trovare parole che dicono un pensiero a lungo meditato e illuminato dalla lettura dei maestri. In pagine inedite Ghini distingue due epoche della sua poesia: della rappresentazione e gioia del presente; dello stato d’animo più complesso, con “una vera frattura appena colmata da un desiderio di vita, che ci sbarazza dei rimpianti, delle gelosie, della sordità dell’io”.
Maria Luisa Simoncelli