
Massa: il vescovo Mario ha presieduto la “penitenziale” nel pellegrinaggio alla Cattedrale

La nostra Chiesa diocesana domenica 6 aprile ha vissuto un’esperienza significativa: un pellegrinaggio diocesano, per esprimere un elemento fondamentale di ogni evento giubilare, forse proprio per la spinta che dà alla vita cristiana in costante cammino alla ricerca e all’incontro con il Signore Gesù.
In un certo senso si potrebbe dire che vita cristiana e pellegrinaggio vanno di pari passo poiché entrambi hanno “nel cammino” un loro tratto identificativo.
Nel primo caso si tratta di fare un percorso la cui meta finale è l’incontro con il Signore Gesù; nel secondo il mettersi in cammino è andare alla ricerca del senso della vita.
Il vescovo fra’ Mario aveva sottolineato che il pellegrinaggio, momento di grazia e di rinnovamento spirituale avrebbe avuto un carattere penitenziale ed aiutato a riflettere sul mistero della misericordia di Dio che chiama sempre alla conversione e al perdono.
“Sarà un momento di riflessione e di preghiera intenso, durante il quale avremo anche la possibilità di accostarci al Sacramento della Confessione per rinnovare la nostra vita di fede e di grazia”, aveva scritto.
I fedeli, arrivati a Massa da tutta la diocesi, raggiunta la chiesa assegnata al proprio vicariato (quattro parrocchie cittadine individuate allo scopo) sono entrati nel vivo ascoltando la catechesi di approfondimento ed interiorizzazione sull’amore incondizionato che Dio ha per l’uomo e sulla misericordia del Padre.
Questi i “predicatori” coinvolti e incaricati di svolgere la catechesi: Gioietta Casella, Mario Bracci, Lorenzo Dell’Amico e Silvia Francini, Vincenzo Mondello.
Il testo di riferimento è stata la parabola del padre misericordioso (Lc15). Il padre della narrazione evangelica corre incontro al figlio che sta tornando dopo un lungo periodo di lontananza e che lui credeva perso; ma va incontro anche all’altro figlio quello che pur essendo rimasto in casa non aveva capito.
Vede che entrambi si stanno perdendo, si fa loro vicino, perdona e li accoglie. Analogamente Gesù generato dal Padre si allontana, assume la condizione di servo, conduce un’esistenza prettamente terrena, si carica delle colpe dell’uomo per redimerle e per dare allo stesso uomo la possibilità ravvedersi e di tornare al Padre (“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”, Gv14).
Altra sottolineatura dalla preghiera del “Padre nostro” laddove la congiunzione “come” (‘… rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo.’ Matteo 6) sottolinea che la relazione dell’uomo con Dio è correlata alla relazione con l’altro e quindi “io e te”.
I fedeli poi si sono incamminati verso la Cattedrale per la celebrazione penitenziale, presieduta dal Vescovo e animata dal coro “In canto”.
Il passo del vangelo di Giovanni in cui Gesù incontra Nicodemo è stato oggetto della riflessione. Le parole di Gesù “se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio” sono state riprese dal vescovo nell’omelia.
“Gesù definisce lo Spirito – ha detto – come un vento che soffia liberamente, così come è libero chiunque è nato dallo Spirito. E colui che si lascia portare da una parte all’altra dallo Spirito Santo è una persona docile alla sua azione e quindi alla Parola. Un buon cristiano è una persona docile all’ azione dello Spirito; e nascere di nuovo è lasciare che lo Spirito entri in noi e che sia Lui a guidarci dove vuole”.
La celebrazione è proseguita con il rito della Riconciliazione. Il Confiteor, le invocazioni rivolte al Signore, il Padre nostro hanno preparato ed aiutato il penitente per la confessione individuale.
Numerosi oltre ogni aspettativa i sacerdoti che hanno accolto l’invito, ascoltato e riconciliato coloro che hanno scelto di accostarsi al sacramento della Confessione per ricevere la Grazia del perdono del Signore, e il suo aiuto per proseguire sulla strada che porta a Lui.
Un pellegrinaggio diocesano dove il logo del Giubileo, fortemente simbolico, ha richiamato l’attenzione di molti: le quattro figure stilizzate, abbracciate rappresentano l’umanità; l’apri fila è agganciato alla croce, segno della sua fede e della sua speranza. Le onde sottostanti sono mosse a ricordare gli alti e bassi della vita. La parte inferiore della croce si prolunga trasformandosi in un’àncora, simbolo di sicurezza nei flutti del mare. La croce infine non è statica, ma china verso l’umanità offrendole la certezza della sua presenza e della sua speranza.
Paola Chiordi