
Compiute a ridosso del tempo pasquale, le benedizioni delle case rappresentano ancora un momento di dialogo e di incontro con coloro che, vicini o lontani nella fede, vivono nella parrocchia

Compiute tradizionalmente a ridosso del tempo pasquale, le benedizioni delle case erano il modo con cui i parroci si recavano a ricambiare la visita che le famiglie compivano ogni domenica alla chiesa parrocchiale.
Erano quei giorni nei quali i chierichetti – “che erano stati i più bravi” durante l’anno – potevano decidere in quale zona accompagnare il sacerdote e la scelta non era di certo casuale perché dettata dall’esigenza di soddisfare i bisogni culinari, dal momento che ormai avevano imparato dove “si mangiava meglio”.
Ma la cosa bella delle benedizioni era che diventavano un vero e proprio incontro di festa. Le famiglie infatti allestivano le loro mense con le tovaglie migliori “del corredo” e venivano offerti pane e salumi mentre ai chierichetti si davano le uova perché al termine della giornata potessero avere un’ulteriore ricompensa con una mega frittata.
Nel nostro territorio le benedizioni erano uno dei simboli più solenni per la vita della comunità tanto che ogni parroco poteva ben definirsi pastore perché andava ad incontrare singolarmente ogni “sua pecora”.
Adesso i tempi sono cambiati. Per esempio nelle grandi città spesso è impossibile che un parroco vada a visitare ogni abitazione. Spesso ci si limita ad organizzare un momento di preghiera per zona o quartiere, a chiedere l’aiuto ad altri sacerdoti o ministri oppure a visitare le vie ad anni alterni.
In Lunigiana – armati di tanta buona volontà e per quanto possibile, data l’età avanzata e la scarsità numerica – i sacerdoti provano a mantenere la tradizione di visitare ogni casa, talvolta coadiuvati dai diaconi o dai laici più attivi della parrocchia. Certamente non sono più accompagnati da uno stuolo di bambini e neppure riescono a conoscere personalmente ogni persona.
Anche questo, complici l’urbanizzazione del territorio e soprattutto la carenza di frequenza alla vita delle comunità, ci dice molto dei tempi che stiamo attraversando. A chi apre la porta con tanto entusiasmo c’è infatti chi soccombe con l’attesa che tutto finisca per potere tornare alle proprie “faccende”.
Nonostante ciò, quello delle benedizioni, è spesso per i sacerdoti, l’unico momento per cercare un dialogo con coloro che vivono nelle parrocchie.
E persino nel nostro piccolo – come ha testimoniato al nostro settimanale don Mario Arenare, parroco della Valle del Caprio e vicario foraneo di Villafranca – c’è chi si definisce ateo e rifiuta la visita del sacerdote.
Eppure il significato rivestito dalle benedizioni è importante: è l’invocazione a Dio perché protegga le case e chi le abita, è un modo per chiedere la salute del corpo e dello spirito e per ringraziare il Signore per quanto di bello si vive come famiglie – “piccole chiese domestiche”.
Ma i nostri parroci non si danno certo “per vinti” e, come ci ricorda ancora don Mario, studiano i modi più particolari per raggiungere chiunque tanto che, nei piccoli paesi, si stanno compiendo benedizioni nei mesi estivi per poter trovare “un maggior numero di persone” e di case aperte. Ma anche in questo caso è difficile che tutti rispondano positivamente.
La volontà di raggiungere chiunque è racchiusa nel fatto che ogni benedizione porta con sé il dono della pace. Una pace che si invoca come stimolo a costruire un mondo migliore. Dalla pace alla preghiera: è il modo per ricordarci sempre che l’aiuto del Signore ci supporta nei momenti di difficoltà.
Infine la benedizione vera e propria che, attraverso l’acqua benedetta, rievoca il Battesimo e l’adesione a Cristo Signore “crocifisso e Risorto per la nostra salvezza”. La benedizione delle case è poi occasione per conoscere e visitare gli anziani e gli ammalati (che non possono più prendere parte alla vita parrocchiale) e per ascoltare racconti di fatiche, sofferenze, gioie, sorrisi, lacrime, di tante persone che spesso – per i più vari motivi – non si sentono parte della vita ecclesiale ma accolgono comunque il parroco con speranza.
Certamente la visita alle famiglie non viene fatta con l’intento di un ricavo economico e neppure perché un prete abbia voglia di “farsi un giro”, quanto piuttosto perché tutti possano accogliere e incontrare il Signore nonostante le fatiche e le preoccupazioni di ogni giorno.
“Spalancare le porte a Cristo” è dunque il modo perché per tutti, alla porta di un appartamento, di una villa, di una casa di paese, corrisponda l’accettazione di una vita di fede e di amore.
(Fabio Venturini)