
Una riflessione sull’identità e la ragion d’essere del volontariato. Le attività assistenziali hanno perso 900 mila volontari in 6 anni. Tra le cause il calo demografico e le evoluzioni sociali e normative

La celebrazione a Roma del Giubileo del volontariato è l’occasione per fare il punto su un fenomeno che, dalla cultura alla sanità, passando per la difesa dell’ambiente e lo sport coinvolge in Italia 4,6 milioni di persone. Uomini e donne che, quotidianamente e senza un tornaconto economico, si impegnano per fare qualcosa per gli altri in circa 360 mila associazioni non profit.
Secondo i dati del Censimento permanente delle istituzioni non profit, però, si tratta di numeri in diminuzione del 16,5% rispetto al 2015, quando i volontari erano oltre 5,5 milioni, segnando una perdita di circa 900.000 unità.
Il calo può essere attribuito a vari fattori, tra cui l’impatto della pandemia da Covid-19, che ha limitato le attività in presenza e ha influenzato la partecipazione dei volontari.
“Registriamo importanti cambiamenti di carattere sociale in Italia – spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo Settore – La popolazione invecchia e i giovani sono meno che in passato. Sono cambiati anche gli stili di vita: prima si nasceva, lavorava e faceva volontariato nello stesso territorio”.

Ora non è più così, data la forte mobilità delle persone. Il 57,5 per cento dei volontari sono uomini e il 42,5 per cento donne, una distribuzione che riflette una maggiore partecipazione maschile rispetto alla composizione demografica generale del Paese, figlia di una organizzazione famigliare che, osservando i dati relativi alle generazioni più giovani, sta cambiando.
Il coinvolgimento nel volontariato attraversa tutte le fasce d’età. La maggior parte dei volontari rientra nella fascia 30-54 anni (38%), seguita dai 55-64enni (24%) e dagli over 65 (22%). I giovani tra i 19 e i 26 anni rappresentano il 13% dei volontari, mentre gli under 18 costituiscono il 3%.
I dati evidenziano come il volontariato sia filo conduttore che unisce le generazioni, ma che fatica a coinvolgere i più giovani.

Circa gli enti, la maggior parte di essi è di piccole dimensioni economiche, con il 59,8% che non supera i 30.000 euro di entrate annue, una frammentazione che pone sfide significative in termini di sostenibilità finanziaria e capacità organizzativa.
Ma la sfida più importante appare l’incentivazione della partecipazione dei giovani. Secondo Vanessa Pallucchi sono le comunità più piccole a mostrare le potenzialità del volontariato. “Se pensiamo solo alle aree interne, il Terzo Settore è uno dei pochi soggetti presenti, come nel caso delle pro loco. C’è una forma mentis dei cittadini – prosegue – di organizzarsi dal basso, di mettersi assieme attorno a un tema e fare qualcosa. Questa presenza diffusa nasce da relazioni di prossimità. Oggi la sfida del Terzo Settore è tirare fuori dalla solitudine tanti cittadini. Difficilmente in tanti partecipano a una vita collettiva. Coinvolgerli è l’obiettivo più grande”.
Ma questa sfida passa anche per la capacità di fare convivere il volontariato puro e disinteressato con la professionalità retribuita richiesta da norme sempre più complesse che regolano alcuni degli ambiti del terzo settore.
Una convivenza, quella descritta, non sempre facile e che spinge in tanti verso un volontariato più semplice e spontaneo. Non è un caso, secondo alcuni osservatori del fenomeno, che il calo dei volontari riguarda soprattutto le organizzazioni più strutturate, mentre aumentano le micro organizzazioni.
Segno che molte persone continuano a fare del bene – o vorrebbero farlo – ma in maniera più spontanea, meno propensa a inquadrarsi in turni, continuità, impegni fissi.
Nell’Italia che ha mandato in soffitta le grandi organizzazioni del Novecento, con le loro identità e i loro simboli, con una popolazione che sta meno insieme e fa più cose per conto proprio, le attività solidali sembrano avere assunto i connotati della società in cui è inserito: quelli di un volontariato “liquido” che impone alle organizzazioni di cambiare per continuare a rispondere ai bisogni per i quali operano. A loro l’onere di capire in quale direzione.
(Davide Tondani)