Seminare la speranza nei cuori chiusi  dalla sofferenza e  dall’indifferenza

In un anno in cui venti di guerra stanno sconvolgendo molte parti del mondo e le diseguaglianze e l’egoismo stanno privando milioni di persone della loro dignità, il giubileo ci invita a tornare a Dio, nostra speranza

Papa Francesco rende omaggio alla Madonna Salus Popoli Romani in Santa Maria Maggiore a Roma (Foto Vatican Media/SIR)

In un tempo disperato papa Francesco ha deciso di mettere al centro del Giubileo ordinario 2025 il tema della speranza, intitolandolo Peregrinantes in spem, ossia Pellegrini di Speranza. In un mondo lacerato dalle guerre, di cui abbiamo iniziato a prendere coscienza forse solo perché hanno bussato alle porte di casa nostra, in un clima plumbeo su cui è calata la nebbia dell’indifferenza verso il prossimo, il giubileo torna puntuale, interrogandoci sulla speranza.
Già nella scorsa festa della Madonna del Popolo, mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, aveva lanciato un monito a tutti noi: “Fatevi avanti, seminatori di speranza, prima che la città muoia disperata!” Farsi avanti significa prendere coscienza dello stato di disperazione delle persone e, come veri cristiani, non passare oltre come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano, ma seminare la speranza, che non delude, nei cuori chiusi dalla sofferenza e dall’indifferenza, alimentati dalla droga della disperazione. Proprio il giubileo è il momento propizio: Gesù torna a bussare alle porte del nostro cuore per ricordarci che ci ha liberati, sacrificando se stesso, il solo giusto, per sanare le ferite di tutti noi.

Vaticano, 5 dicembre: il rito della “recognitio” della Porta Santa nella Basilica di San Paolo (Foto Vatican Media/SIR)

Sul monte Sinai Dio parlò a Mosè dicendo: “Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo” (Lv 25, 9-10a): memore del sabato, ogni sette settimane di sabati, Dio chiede a Mosè di far risuonare il corno per proclamare la liberazione di tutti i figli di Israele.
La morte, la sofferenza e il peccato non hanno l’ultima parola perché, per gli uomini, Dio fa risuonare la tromba del grande giubileo e proclama la liberazione dal giogo del peccato.
È Gesù stesso che, con la sua morte e risurrezione, compie la profezia di Isaia: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).
È Gesù stesso la liberazione: “Dio fissa un nuovo giorno, oggi” (Eb 4, 7-11) perché si oda la sua voce e si entri nel suo riposo sabbatico, verso cui bisogna affrettarci, prima che la disobbedienza ci allontani da Lui. Se è vero che, come ricordava l’allora cardinale Ratzinger, il centro del rinnovamento spirituale ed ecclesiale è insito nella remissione dei peccati, è altrettanto vero che, con l’avvento di Gesù, non esiste un giorno più indicato di un altro per tornare a Dio: oggi dobbiamo convertirci a Lui, nostra speranza, perché presto Cristo tornerà e non dobbiamo farci trovare impreparati.
L’anno giubilare, ormai dal 1300, come ben ricordava Mattia Moscatelli su questo settimanale, deve essere un’occasione per un maggiore sforzo di ritorno a Dio, che “largamente perdona” (Is 55, 7). In un anno in cui venti di guerra stanno sconvolgendo molte parti del mondo e le diseguaglianze e l’egoismo stanno privando milioni di persone della loro dignità, il giubileo ci invita a tornare a Dio, nostra speranza, per portare speranza laddove, ogni giorno, spacciatori di disperazione annebbiano la vista degli sfiduciati con la dose della sofferenza e dell’indifferenza.

Chiusura Giubileo Misericordia
Vaticano, 20 novembre 2016. La cerimonia in piazza San Pietro a conclusione del Giubileo della Misericordia.

Come cristiani, siamo chiamati a riconciliarci con Dio e a farci prossimi agli sfiduciati, versando sulle loro ferite l’olio della consolazione e della speranza. Ritornando a Dio, siamo invitati a vedere le sofferenze dei nostri fratelli per mostrare loro che esiste una speranza, che è Cristo, che, risorgendo, ha assoggettato tutto a sé, persino la morte.
Il papa usa l’immagine efficace del “rianimare la speranza”: quando tutto sembra perduto e una persona sta per spegnersi, come un medico rianimatore, i cristiani sono invitati a frequentare i luoghi in cui le persone sono spesso sfiduciate: si pensi alle carceri, luoghi necessari per la convivenza pacifica e civile, che non possono, però, diventare lager in cui stipare persone disperate.
Il cristiano è chiamato a vedere nelle persone recluse il volto di Gesù, che chiede di essere visitato e di ricevere speranza per un futuro migliore e diverso, ove la rinascita è possibile abbracciando colui che, solo, non ha avuto paura di sedersi a tavola con peccatori e che, per primo, ha salvato il Buon Ladrone.
Si pensi alle scuole, dove i giovani, sempre più automi e conformi, vivono disperati una vita triste e depressa, o ai luoghi di lavoro, dove la sicurezza manca e non si vede spiraglio per un cambiamento di condizione.
Ecco, lì il cristiano è chiamato a farsi seminatore di speranza, prima che tutto finisca e la città muoia disperata. “Squilla la tromba del giubileo”.

Riccardo Bassi
Segretario della Commissione giubilare diocesana