
Presentata la Legge di Bilancio per il 2025: una procedura di infrazione da cui rientrare, qualche provvedimento-spot ma senza chiari obiettivi di politica economica.
Non vengono affrontati i nodi dell’economia italiana: povertà ai massimi storici, produttività che non cresce, questione salariale, sanità sull’orlo del precipizio

È la terza legge di Bilancio formalmente targata “Meloni”, la seconda manovra effettivamente disegnata dall’attuale governo (quella pubblicata a pochi giorni dall’insediamento, nell’ottobre 2022, fu impostata da Draghi), ma soprattutto è la prima manovra del nuovo Patto di Stabilità europeo.
Terminata la parentesi pandemica e la decisione di allargare le maglie dei vincoli di bilancio pubblico per fare fronte alle conseguenze sociali ed economiche del Covid, i 27 hanno contratto nuovi vincoli, che sostanzialmente confermano l’austerità dell’ultimo quarto di secolo.
Con il nuovo patto, approvato lo scorso maggio con la singolare astensione in Europarlamento del Pd sul testo difeso dal Commissario Ue agli Affari Economici Paolo Gentiloni e dei partiti di governo a dispetto del voto favorevole all’Ecofin del governo, l’Italia è finita sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo.

Il Ministero dell’Economia ha presentato un piano di rientro in cui si impegna a portare il rapporto tra debito pubblico e PIL al di sotto del 140% nel 2029 e il rapporto deficit/PIL sotto il 3% nel 2026, consentendo all’Italia di uscire dalla procedura per deficit eccessivo.
La Legge di Bilancio presentata dal Ministro dell’Economia Giorgetti riflette questi vincoli. Il governo ha dovuto trovare 20 miliardi circa da immolare sull’altare dell’austerità europea: circa 10 destinati alla riduzione dello 0,5% del deficit direttamente a causa del Patto di Stabilità; e altrettanti in maggiori interessi dovuti ai mancati acquisti di titoli del debito pubblico italiano da parte della Banca Centrale Europea.
A questi si aggiungono i 10 miliardi movimentati per perseguire gli obiettivi di politica economica del governo: totale 30 miliardi (destinati a diventare oltre 35 nel 2026 e più di 40 nel 2027), finanziati attraverso riduzioni di spesa e aumenti di entrate per 21 miliardi e attraverso nuovo debito pubblico per 9 miliardi.

La manovra rende permanenti due interventi finanziati una tantum lo scorso anno: il taglio del “cuneo fiscale” e l’accorpamento su tre scaglioni delle aliquote Irpef, due poste che da sole valgono 17 dei 30 miliardi.
Si tratta di due buone notizie se si osserva un solo lato della medaglia; perché per finanziare l’operazione i ministeri dovranno tagliare le spese fino al 5%: un taglio lineare (ma si legge “pilatesco”) che non attribuisce priorità differenziate alle diverse missioni dello Stato.
L’intervento sul “cuneo fiscale” dovrebbe essere articolato su due livelli: sui redditi fino a 20mila euro avrà come ora il carattere di sconto contributivo, tra i 20 e i 35mila euro sarà attuato con un aumento delle detrazioni fiscali. Con i nuovi scaglioni Irpef il reddito fino a 28mila euro continuerà a essere tassato al 23%, mentre fino al 2023 la soglia era fissata a 15mila euro, e per i redditi tra 15mila e 28mila euro si pagava il 25%.
È anche prevista una riduzione dell’aliquota per la fascia da 28 a 50mila euro dall’attuale 35% ma, come risulta dal decreto fiscale collegato alla legge di bilancio, sarà confermata solo se arriveranno le coperture necessarie dal concordato biennale, il nuovo condono approvato dal governo per le partite Iva.
Dalle banche e dalle assicurazioni più grandi arriverà un contributo complessivo una tantum di 3 miliardi e mezzo sotto forma – a quanto risulta per ora – di anticipazione di imposte differite e non di nuovi tributi, come vuole far credere una certa narrazione filogovernativa. I nuovi fondi dovrebbero andare a sostenere e a rafforzare la spesa sanitaria, l’unica che non subirà tagli.
Per il servizio sanitario nazionale sono pronti 900 milioni, che assieme ai 4 miliardi già stanziati porteranno la spesa sanitaria al 6,3% del PIL: un livello più basso rispetto alla media dei paesi europei e cronicamente insufficiente. La manovra rafforza il bonus nido, anche prevedendo l’esclusione delle somme relative all’assegno unico universale dal computo dell’Isee, ma contrariamente a quel che il governo sostiene, ci saranno implicitamente nuove imposte.

In che modo? Modificando il sistema delle detrazioni che in dichiarazione dei redditi riducono l’imposta da pagare.
Il nuovo sistema prevede un importo massimo che si potrà detrarre, che cambierà sulla base del reddito complessivo e di quanti componenti ci sono nel nucleo familiare: sarà più alto per le famiglie numerose e a basso reddito, e più basso per i single e per quelli che hanno un alto reddito.
Il testo definitivo del provvedimento fornirà ulteriori dettagli sulla manovra. Per ora si può dire che nessuna tassa esplicita, qualche attenzione per le famiglie, la riduzione di Irpef e cuneo fiscale sono ciò che basta al governo per affermare di avere rispettato i propri impegni elettorali.
Ma i nodi dell’economia italiana – povertà ai massimi storici, produttività che non cresce, questione salariale, sanità sull’orlo del precipizio – non vengono affrontati: l’impressione è quella di una manovra dal respiro corto, i cui sacrifici emergeranno con i tagli di spesa.
(Davide Tondani)