
Nel variegato, e talvolta nauseabondo, panorama della nostra narrativa emergono figure di scrittori che collocano le loro opere nei sentieri consolidati che risalgono addirittura al nostro rinascimento.
Da Boccaccio a Bandello, da Paolo Nori a Ugo Cornia, da Domenico Dara a Omar Di Monopoli, da Daniele Benati a Cosimo Argentina è tutto un susseguirsi di storie apparentemente strampalate attraversate dal beneficio di una grottesca ironia che, anche con un uso sapiente del dialetto, approntano storie di succoso divertimento in cui eventi banalmente quotidiani quanto di eterna rilevanza permettono al lettore attento un senso di salutare appagamento.
Mi sembra il caso di Sacha Naspini che con questo suo ultimo “Bocca di strega” (Edizioni E/O pagg.190 euro 18), persegue un sentiero che da “L’ingrato” (2006) all’imprescindibile “Le case del malcontento” (2018), da “Le nostre assenze” (2022) a “ Villa del seminario” (2023) si inserisce a pieno titolo nel meglio del nostro narrare.
Questa volta ci ritroviamo in Val di Cornia, tra Lazio, Umbria e Toscana, circa nel 1972. Nel paese del racconto si campa di dissotterramenti illegali, soprattutto di materiale etrusco, che consentono guadagni ingenti per un manipolo di specialisti guidati dalla leggenda locale Guido Sacchetti, detto Bardo, che subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale ha costituito una banda di sicuro affidamento governandola con spietata spregiudicatezza ed esemplare lealtà.
Ma, si sa come vanno le cose nel mondo e vuoi per problemi strettamente familiari, vuoi per sopravvenuti spregiudicati concorrenti, le cose cambiano portando alla sparizione del Bardo (forse suicida in mare dopo la morte della moglie che gli contestava l’attività fraudolenta) ed a cambiamenti inaspettati sia nei rapporti tra i componenti della banda che per l’arrivo di personaggi sospetti.
Si impone la “bocca della strega”, una trappola attraverso la quale smascherare il possibile traditore del gruppo. La storia scandita in tre tempi, l’ultimo dei quali serve a meglio definire i personaggi, affondare nel contesto storico sociale per una definizione più ampia e convincente e soprattutto per tirare al lettore “la bocca di strega” sia per un salutare sberleffo che per compiutezza stilistica chiudendo con la determinazione giusta del giusto fatto compiuto.
Secondo me come ulteriore riflessione proporrei una lettura o rilettura di due scrittori del passato più o meno recenti il toscano Renato Fucini delle “Veglie di Neri” e il faentino Francesco Serantini de “I bastardi” che sembravano aver chiuso un’epoca ed invece erano solo i padri putativi, tra gli altri del bravo Sacha Naspini.
Ariodante Roberto Petacco