
Nasceva a Licciana 150 anni fa. Esponente principale del socialismo rivoluzionario, è stato figura controversa: interventista, raggiunse D’Annunzio a Fiume e per alcuni anni fu affine al fascismo

Il socialismo strutturato come partito in Italia nasce tardi, nel 1892 ed è già diviso tra riformisti e massimalisti, però fermenti di idee e azioni in favore del proletariato si erano espresse sia sul piano della scuola liberale democratica mazziniana, sia su quello marxiano e anche anarchico, con fermenti insurrezionali proprio a Carrara, che ebbero il momento più forte nei “fasci lunigianesi” dei cavatori nel 1894. La repressione del governo Crispi fu durissima.
Alceste De Ambris sta dentro questo contesto e in esso si forma. Viene da famiglia benestante di Licciana Nardi, il padre Francesco e lo zio Domenico, con incarichi amministrativi a Licciana e Aulla come socialisti, avevano acquistato all’asta beni delle Congregazioni religiose incamerati dallo Stato.
Ampie informazioni biografiche anche sulla genealogia di Alceste si trovano nel saggio di Giulivo Ricci del 1974 Alceste De Ambris dal socialismo eroico di Lunigiana al sindacalismo rivoluzionario.
Nacque il 16 settembre 1874. Arrivò agli studi universitari a Parma, era della “brigata apuana” con Luigi Campolonghi, Vittorio Carloni, Vito Fiaschi, Manfredo Giuliani, Pietro Bologna fondatore del Circolo operaio di Pontremoli e del quindicinale “La Terra” (presto sequestrato risorgerà nel 1906) al quale Alceste diede importanti contributi. Giornalista e politico, è l’esponente principale del socialismo rivoluzionario così definito in Francia da Jean Sorel che vedeva lo sciopero generale come arma di lotta politica.
Anche De Ambris subì repressioni, riuscì a fuggire in esilio a Marsiglia, poi in Brasile. Rientrò in Italia nel 1903 e fu eletto segretario della Camera del Lavoro di Savona, poi a Livorno fu segretario dei lavoratori del vetro, passò a Roma come dirigente della Gioventù socialista. Girava l’Italia tenendo comizi; nel 1908 fu a capo di cortei nella Parma dell’Oltretorrente, repressi dalle forze dell’ordine, molti gli arresti. Riuscì a fuggire a Lugano, poi di nuovo in Brasile.
Tornato a Lugano fu intensa la sua propaganda anticolonialista nel momento cruciale della guerra italo-turca che nel 1912 rese la Libia colonia italiana contro la volontà dei socialisti. Nel 1913 venne eletto deputato, godendo di immunità tornò e a Parma fu accolto come un eroe. Riprese la lotta politica e sindacale con l’intento di mettere insieme tutte le forze rivoluzionarie democratiche e internazionaliste.
Ma quando scoppia la Grande Guerra modifica il suo orientamento; analogo a Mussolini, si schiera a destra per l’intervento in guerra, dove va volontario, in contrasto con i neutralisti liberali e coi cattolici.
Subì la seduzione fascista; finita la guerra, si schierò coi nazionalisti insoddisfatti per la questione dei confini istriani e dalmati, raggiunse D’annunzio a Fiume che lo nominò suo capo di gabinetto di quella peregrina Reggenza del Quarnaro e ne elaborò la Costituzione in 47 articoli.
Nel 2020 Alfredo Bassioni, ricercatore di giustizia comparata, ha pubblicato un’analisi puntuale della Charta Quarnerina che propone una democrazia diretta basata sul lavoro, con larghe autonomie e sovranità collettiva dei cittadini senza distinzioni, mira all’armonia sociale, garantisce ampie libertà e una cultura laica.
De Ambris fiumano si ispirava ai modelli storici ma soprattutto alle dottrine anarco-sindacaliste della lotta sociale praticate da giovane. Erano venuti anni di ambiguità: da socialista radicale si ritrovò su posizioni nazionaliste affini al fascismo. Trovò poi la chiarezza di una scelta, quella antifascista. Sbeffeggiato dai fascisti di Italo Balbo, torna esule in Francia dove diventa persona di riferimento e di assistenza dei fuorusciti antifascisti.
Con Campolonghi fondò la Lega Internazionale dei Diritti dell’Uomo. Rifiutò le operazioni per rientrare in Italia, nel 1926 fu privato della cittadinanza italiana e dei beni. Morì il 9 dicembre 1934 a Brive e là sepolto. Solo nel 1964 fu traslato a Parma per iniziativa di amici con comuni ideali guidati dal preside Alfredo Bottai.
Figura di rilievo in un complicato periodo, non è stato molto studiato prima che il grande storico Renzo De Felice ne richiamasse la singolarità e l’importanza in saggi e riviste qualificate.
Maria Luisa Simoncelli