
Il ministro Valditara ha deciso: da settembre divieto assoluto di utilizzo degli smartphone in classe, dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola media. Pareri contrastanti su un divieto che ha il merito di aprire un dibattito a lungo eluso su giovani e nuove tecnologie.
Ma quello che serve è una nuova alleanza educativa
A partire dal prossimo anno scolastico nelle scuole primarie e medie di tutta Italia divieto assoluto di utilizzo degli smartphone in classe, anche per fini educativi e didattici, dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola media. Lo ha deciso due settimane fa il ministro Giuseppe Valditara.
Faranno eccezione solo gli alunni con disabilità, bisogni specifici per l’apprendimento o altre condizioni personali documentate. Si potranno continuare ad usare computer e tablet, solo a scopo didattico e con la supervisione dei docenti. La circolare segue a quella del 2007, quando l’allora ministro Fioroni dispose il divieto di utilizzo del cellulare – l’uso di massa di smartphone e tablet arriverà 5-6 anni dopo – durante le ore di lezione per motivi di distrazione degli alunni e di rispetto per il docente.
Il ministro Valditara ha giustificato la decisione, nell’aria da mesi, con le statistiche del rapporto 2023 del Global Education Monitoring dell’Unesco supportati anche da numerose ricerche, sia in ambito scolastico che universitario. Secondo il rapporto, in Italia, quasi il 38% degli studenti ammette di essere distratto dal proprio cellulare durante le lezioni, mentre il 29% si dice disturbato dall’uso che ne fanno i compagni.

Il tema delle nuove tecnologie in classe è assai dibattuto non solo tra i pedagogisti o i neuropsichiatri dell’età evolutiva, ma anche tra i docenti stessi e tra le famiglie. Sullo sfondo c’è un utilizzo capillare e inconsapevole degli smartphone tra i bambini.
Con genitori divisi: da chi usa con leggerezza gli smartphone per tranquillizzare bambini in passeggino, a chi con perplessità si vede costretto ad acquistare il telefonino ai figli preadolescenti che lamentano altrimenti l’esclusione dalla socialità; da chi chiede alla scuola di usare il “pugno duro”, non riuscendo ad esercitare la stessa autorità in casa a chi, al contrario, minaccia denunce in caso di sequestro da parte dei docenti.
Ma anche tra gli addetti ai lavori le posizioni sono molto varie.
Vincenzo Schettini, docente e creatore di contenuti con i suoi video “la fisica che piace” si è dichiarato favorevole alla circolare Valditara. “Abbiamo perso il controllo. Anche i lavoratori si distraggono al lavoro, immaginate i ragazzi a scuola” ha detto l’insegnante, che ha rilanciato sulla mancata estensione del divieto alle superiori dove l’uso dei device elettronici è ancora più incontrollato.
Di parere contrario Roberto Franchini, docente di Pedagogia all’Università di Brescia. “È certamente vero che lo smartphone può ipnotizzare i nostri studenti, danneggiano il loro percorso di crescita, ma il compito della scuola è probabilmente proprio educarne l’uso efficace (anche per l’apprendimento), e non semplicemente vietarlo”.
“La negazione – ha aggiunto lo studioso – rischia paradossalmente di alimentare la dipendenza, come accade quando gli studenti ‘finalmente’ possono accenderlo quando a scuola suona la campanella”.
Provvedimenti analoghi sono stati presi in altri paesi europei. In Gran Bretagna si impone ai minori di 16 anni di mantenere i cellulari spenti negli zaini per tutta la giornata a scuola, intervalli compresi; nei Paesi Bassi da quest’anno non possono più utilizzare i dispositivi mobili a scuola per motivi di apprendimento; in Francia è sancito il divieto d’uso degli smartphone a scuola ma lasciando ad ogni istituto le modalità pratiche del rispetto di questa norma.
In Norvegia gli smartphone sono vietati sulla base delle indicazioni di alcuni studi che hanno dimostrato un miglioramento del rendimento e dell’attenzione dei giovani in assenza di smartphone, mentre la Svezia, nota per aver adottato in passato un piano di digitalizzazione estesa dell’insegnamento a partire dalla scuola dell’infanzia, ha fatto marcia indietro a seguito della pubblicazioni di alcuni studi che evidenziano come gli strumenti digitali compromettano, piuttosto che migliorare, l’apprendimento degli studenti.
Nella comunità scolastica c’è chi è contrario ai divieti come soluzione estrema al problema e crede che sia compito della scuola di oggi confrontarsi con la tecnologia, asserendo che ragazzi e ragazze non diventeranno automaticamente più responsabili o che fenomeni come il cyberbullismo non scompariranno automaticamente togliendo i “device” nelle ore in classe, ma che continueranno ad essere usati nel resto della giornata.
Ma c’è chi denuncia al contrario che la scuola è chiamata prima di tutto a sviluppare l’apprendimento e in un contesto in cui la brevità della comunicazione digitale allontana sempre di più alunni e alunne dalla comprensione di un testo superiore a poche righe, è urgente accompagnare i divieti con il ripristino di un’alleanza educativa tra scuola, famiglia, istituzioni e società per aiutare le giovani generazioni a vivere nella cultura del digitale senza esserne danneggiati. Il dibattito è aperto.
(Davide Tondani)