
Domenica 5 maggio – VI di Pasqua
(At 10,25-26.34-35.46-48; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17)
Nel momento di passare da questo mondo al Padre, Gesù non ha lasciato in eredità alcun bene materiale e neppure nessun testo scritto, ma al discepolo prediletto ha affidato la custodia della madre, e a tutti i discepoli ha lasciato il tesoro dell’Eucaristia insieme al comandamento dell’amore.
1. Rimanete nel mio amore. Questo comandamento dell’amore precede l’invio dei discepoli in missione, anzi ne è il presupposto, perché l’amore qualifica la presenza della Chiesa nel mondo.
La vita di amore e di comunione è la base della evangelizzazione, come dice Gesù stesso in un altro passo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).
E un giorno saremo giudicati sull’amore (Mt 25,31-46), non saremo giudicati in base al rendimento del nostro ministero.
2. Vi ho chiamato amici. Per sua libera iniziativa Gesù si rivolge ai ‘Dodici’ chiamandoli ‘amici’, senza pretendere da loro una prova attitudinale e senza fare loro l’esame di coscienza. Solo a Pietro ha chiesto un supplemento di amore: “Mi ami tu più di costoro? Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15).
La chiamata per il ministero non è una iniziativa dell’uomo, ma è un dono di Dio, è lo Spirito Santo che scrive nel cuore e nella vita di ogni battezzato un progetto d’amore e di grazia. C
hi accoglie questo progetto trova anche il senso pieno della sua vita, perché non solo si mette in sincerità davanti ai grandi interrogativi del proprio cuore: chi sono, da dove vengo, dove vado, qual è il fine della vita, ma anche diventa capace di risposte coraggiose.
Chi segue la propria vocazione offre il suo personale e insostituibile contributo al progresso dell’umanità sulla via della giustizia e della pace.
3. La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Se, come dice il profeta Baruc: “Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: Eccoci! e hanno brillato di gioia per colui che le ha create” (3,34-35), molto più grande è la gioia di chi è invitato a una stretta collaborazione con Gesù.
Quanto consolante e coinvolgente è rispondere con le parole del salmo: “Verrò all’altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza. A te canterò sulla cetra, Dio, Dio mio” (Sal 43,4).
Ciascuno ha la sua strada tracciata nella storia della salvezza, non necessariamente è chiamato alla vita religiosa: Zaccheo ha accolto Gesù pieno di gioia, ma non risulta che sia entrato nel numero degli Apostoli.
La stessa cosa si può dire per altri personaggi che ruotano attorno a Gesù. E come l’osservanza dei comandamenti aiuta gli uomini a vivere da uomini, così l’accoglienza della chiamata di Dio comporta per ciascuno la propria realizzazione e la propria pace. Dice il poeta: “E ‘n la sua volontade è nostra pace” (Par. 3.85).
† Alberto