Carlo Maria Martini:  un cristianesimo fondato  sul rischio della fede

Il pensiero ancora attuale del gesuita e cardinale torinese a dieci anni dalla sua scomparsa

Il card. Carlo Maria Martini (1927-2012) – Foto Diocesi di Milano

È una memoria che non si spegne, quella del cardinale Carlo Maria Martini, torinese, gesuita, biblista e arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Nei 10 anni trascorsi dalla sua morte, avvenuta il 31 agosto del 2012, la figura di Martini si è progressivamente spogliata delle etichette semplicistiche e interessate attribuitegli da certo mondo intellettuale laico, per lasciare spazio a quello che l’arcivescovo di Milano è stato realmente: un instancabile studioso, maestro e annunciatore della Parola di Dio. E sono proprio queste sue caratteristiche a tenere ancora in vita l’opera di un pastore il cui profilo spirituale ha fortemente segnato una parte significativa della Chiesa e del cattolicesimo italiani. A determinare quest’influenza hanno sicuramente contribuito la sua figura umana, la sua semplicità, la sua austerità e la sua capacità comunicativa, unite ad una precisa visione della fede, non come elemento consolatorio ma come “rischio”, e ad una capacità di interpretazione dei temi della vita e della società alla luce della fede, frutto della capacità di discernimento tipica della spiritualità ignaziana, che si manifestava in maniera ampia e lungimirante. Questo profilo personale e spirituale calamitò su Martini anche le attenzioni di molti “lontani”, con cui aprì canali di confronto di grande valore culturale.

Il card. Martini con papa Benedetto XVI – Foto Siciliani-Gennari SIR

Su questi elementi Martini costruì, all’interno di una densa vicenda biografica di arcivescovo, di biblista, di intellettuale e di uomo di contemplazione, una riflessione sul rapporto tra fede e modernità fattasi più intensa ed esplicita negli ultimi anni della sua vita, trascorsi tra i soggiorni di studio a Gerusalemme e la casa di riposo dei gesuiti di Gallarate. In un articolo pubblicato su Avvenire nel 2008, descrivendo un mondo che privilegia le emozioni e il presente a discapito dei grandi progetti e degli ideali in cui, di conseguenza, si fanno largo “il rifiuto del senso del peccato e della redenzione” e un giudizio negativo per gli aspetti della morale, Martini affermò che il cristianesimo aveva la possibilità “di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente”.
La perdita di rilevanza pubblica della Chiesa, per l’anziano cardinale, poteva essere l’opportunità per riscoprire un cristianesimo nuovo, che non si trasmette più per tradizione culturale, ma considerando la diversità un dono di Dio, mettendo al centro i poveri e la Parola, considerando la fede “il grande rischio della vita” indicato nel vangelo di Matteo: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.
Parole non troppo diverse da quelle del professor Ratzinger che, molti anni prima, aveva parlato di un necessario ritorno ad una “Chiesa piccolo gregge” e che da Papa, nel 2011, si rivolse ai cattolici tedeschi affermando come la secolarizzazione ha contribuito, in epoche diverse, alla purificazione della Chiesa che, “liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo”. Le tesi martiniane su una riforma interiore e istituzionale della Chiesa emersero ancora più esplicite in “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, pubblicato nel 2008 sotto forma di colloquio con il gesuita viennese Georg Sporschill. In quel testo Martini denunciava una Chiesa “stanca, nell’Europa del benessere e in America”, che si trovava “come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo” e con “così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza”.
Il libro, considerato come una sorta di testamento spirituale del cardinale anziano e malato, fece molto discutere per le dichiarazioni forti sul governo della Chiesa – “consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove” -, sugli strumenti indicati contro la stanchezza della Chiesa che denunciava e sulle ricadute sulla morale e sulla dottrina e per la denuncia di una Chiesa “rimasta indietro di 200 anni”. “Come mai non si scuote?”, si domandava inquieto l’anziano gesuita. “Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”. Uno scoramento che non cancellava però la speranza riposta nella fede: “Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore”.

Libri e film che ne tengono viva la memoria

A dieci anni dalla scomparsa sono ancora tantissimi i testi in libreria scritti dal cardinal Martini che permettono di scoprirne il pensiero e la spiritualità o biografie e ricordi postumi sulla sua vita. Tra i tanti testi, giova segnalare che Mondadori ha dedicato al gesuita nel 2011un volume della prestigiosa collana I Meridiani, intitolato “Le ragioni del credere”, contenente una ricchissima antologia di scritti martiniani divisi in tre sezioni, seguendo la metafora delle tre città in cui Martini ha operato, Roma (la Chiesa e l’università Gregoriana di cui è stato rettore), Milano (l’azione pastorale come arcivescovo), Gerusalemme (la Parola di Dio di cui è stato eminente studioso).
Il card. Carlo Maria Martini è stato oggetto anche di un film-documentario girato nel 2017 dal regista cattolico Ermanno Olmi assieme al giornalista Marco Garzonio e intitolato “Vedete, sono uno di voi”, che ripercorre la vicenda biografica, pastorale e spirituale dell’arcivescovo di Milano. Il film è attualmente disponibile sulla piattaforma digitale Raiplay.

(Davide Tondani)